10 FEBBRAIO 2017 – Quello di noi che, per avventura, fosse capitato al teatro la settimana scorsa quando si parlava dei moti del 1957 (nella foto del titolo una fase ripresa dalla Fontana del Vecchio, detta Il Vaschione), avrebbe potuto vivere una esperienza paranormale. Sarebbe stato come entrare in una casa nella quale l’ufficiale giudiziario mandato dal creditore stesse imperversando a portare via pregiati comò, cristalliere da mille e una notte, attrezzi in oro per il camino, ma anche armadi e vestiti, lavastoviglie, caldaia per il riscaldamento, per un inventario contro un nobile decaduto.
Accanto al camino, privo pure del mantice, si sarebbe potuta vedere la famiglia dei debitori raccolta in singhiozzi, tutta presa a ricordare quando sessanta anni prima fu portato via il grammofono; il capofamiglia a ricostruire le fasi della piccola e disperata resistenza agli imperativi ordini dell’ufficiale giudiziario, assecondati dalla coercizione della forza pubblica; gli altri a dire quale fu l’afflato degli altri componenti, ora passati a miglior vita, nel rivendicare l’ingiustizia che si compiva per una causa persa ma moralmente da vincere. Il grammofono, già: quello meritava una rievocazione, anche durante l’asporto di tutto. Così, una città, mentre le portano via il tribunale, dovrebbe passare il tempo a ricordare di quando le hanno portato via il distretto. E mentre le portano via i primi giudici per realizzare la soppressione del tribunale, dovrebbe dire, sostanzialmente: “Quante ce ne hanno fatte ! Ma quante gliene abbiamo dette! E quante gliene diciamo!”. E intanto restare nell’immobilismo più cupo, anzi nel silenzio di tomba.
Dipende sempre dagli obiettivi che uno si pone.