VALUTAZIONE DEL PROF. DIEGO GRILLI SUL DRAMMA “TEMPESTE”: “UN VOTO DA UNO A DIECI? UNDICI”
21 AGOSTO 2016 – Ad un severo esaminatore delle proposte culturali di Sulmona chiediamo di esprimere un voto su “Tempeste”, appena concluso sulla scalinata del tempio di Ercole Curino e di usare il metro scolastico, da uno a dieci. “Undici” risponde subito il prof. Diego Grilli.
Fino all’ultima esalazione del giorno, quando i suoi occhi di spirito risaltano di più sul vestito nero, sullo sfondo di piante ormai scure e su un viso abbronzato da due giorni di prove incessanti, Sista Bramini (nella foto in alto) ha calamitato gli occhi e le orecchie di un pubblico più folto del previsto. Un po’ alla volta ha immerso il cuore di tutti nella vicenda umana degli ultimi protagonisti, Deucalione e Pirra, poveri anziani che si trovano sulle spalle la missione impossibile di rigenerare uomini e donne dopo il diluvio universale.
Ha versato in questi venti minuti dell’ultima sequenza dei miti gli infiniti toni della sua voce e le infinite risorse del suo corpo, con l’ultima trovata scenica che le è servita a dimostrare che dopo i miti ci sono gli uomini e le donne, l’umanità dei giorni nostri: Deucalione e Pirra lanciano alle loro spalle le “ossa della Grande Madre”, come era stato suggerito dalla dea Temi in persona e come il primo dei due aveva interpretato nel senso di “pietre della Terra”. Pirra-Bramini si pone di spalle al pubblico e mina l’atto di buttarsi indietro una pietra, per poi voltarsi e guardare, stupita, che si è trasformata negli uomini di oggi, in quelli che la osservano e sono pronti ad articolare movimenti delle membra, a parlare, ad ascoltare, a sentire il battito del loro cuore. Insomma ad essere persone, secondo un messaggio di speranza di rinascita che Ovidio ha descritto nelle sue “Metamorfosi”.
“E un aiuto, in questo riconsegnare gli spettatori ai loro giorni dopo il percorso negli inferi e nelle altezze delle scene precedenti mi è venuto dallo sfondo opposto a quello del tempio di Ercole: la valle di Sulmona, con le luci che dalle otto e mezzo di sera in questa stagione riprendono, per una notte, ad attrarre le pupille di chi guarda, a ricordare che la vita sta lì, adesso”.
E’ costato un impegno sfinente questo prendere per mano gli spettatori e, come promesso, farli sentire protagonisti del dramma del TeatroNatura, perché nessun accento deve cadere nel vuoto dal loro ingresso sull’ampio spazio della prima “terrazza” fino alla discesa, metaforica e fisica, nell’estremo degli spalti, in quello più basso, dove “O Thiasos” ha narrato la nascita del vino e lo svilente premio che Dioniso (nella foto mentre pigia l’uva) regala a Oileo in cambio di Altea e dell’impegno a… non protestare, ad essere saggio, dell’eterna saggezza del compromesso. Vino in cambio di repressione delle pulsioni di fronte al dolore di aver visto la dolce sposa soddisfatta con un altro.
E’ duro risalire da questi inferi, sugli alti gradini della scalinata che conduce all’ultima scena; non servono più gli inviti a non parlare ad alta voce. Nessuno sa commentare il messaggio di questo episodio; non ora. Occorre arrampicarsi per tornare a sperare che non servono patti con il diavolo per vivere i giorni di adesso. Non è messa lì casualmente, sfogliando nelle “Metamorfosi”, la scena di Deucalione e Pirra: come nel “Domino”, una tessera del dramma non può non avere il numero della precedente. “Quando si toccano gli argomenti della gelosia, siamo presi tutti; è un confronto al quale non possiamo sottrarci” ci dice Sista Bramini. Con la voce che le rimane da quella piccola apoteosi a pochi metri dal mosaico e dal luogo dove appena sessanta anni fa ancora… riposava tra le macerie l’Ercole che… riposa, percorre i trecento passi dal Tempio al parcheggio per un ritorno al 2016 che stavolta è irreversibile. Ma ha meritato tutto il voto oltre il confine del professore severo.
Chi aveva detto che il teatro di oggi è improvvisazione?
Fotoservizio di Teodoro Marini