LA SCOMPARSA DEL DOCENTE, IL SUO RAPPORTO CON GLI ALLIEVI E UN MESSAGGIO PER LA VITA DI DOMANI
26 GIUGNO 2017 – Si tiene stamane nell’Università “La Sapienza” di Roma la cerimonia funebre per il prof. Stefano Rodotà, scomparso venerdì.
Il docente di Diritto Civile, che negli ultimi venti anni ha fornito grandi contributi di Diritto Costituzionale e nell’ultimo referendum si è speso perché la Carta fondamentale non venisse devastata dall’orda di decisionisti che malcelavano intenti dirigistici, è stato continuamente contrastato nella sua carriera politica dagli stessi “compagni” di partito che vedevano il lui un pericolo in quanto promotore della strategie per il consolidamento di una vera società liberale, fondata sulla prevalenza delle idee piuttosto che degli schieramenti.
Per quanto un professore universitario lo puoi incontrare per un anno solo, per un ciclo di lezioni o seminari, finisce per accompagnarti in molte scelte della vita, soprattutto se è un accademico che si immerge completamente nella politica. Frequentavo le lezioni del prof. Rodotà dopo aver ascoltato quelle del prof. Aldo Maria Sandulli: erano i due opposti, ma Rodotà, quando parlava della battaglia di Sandulli per una equità sostanziale del regime dei suoli, manifestava senza esitazioni il “rispetto” per quelle idee e le affrontava sotto il profilo della ideologia giuridica, avendo dell’avversario una stima che trasmetteva agli allievi. Sandulli si presentava sempre con i Repubblicani e non riuscì mai, fin quando non approdò ad un collegio sicuro democristiano e divenne presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato; Rodotà fu eletto, ma la sua visibilità, nel mondo invidioso del Pci e poi del Pd, non gli è stata di sostegno; anzi gli ha impedito di diventare giudice costituzionale, presidente della Camera e Presidente della Repubblica.
L’uno e l’altro hanno spiegato ai loro allievi che il Diritto non è formalismo e che frequentare l’Università significa prima di ogni cosa imparare a trovare la soluzione anche da norme che non sembrano dettate per il caso che si presenta e sembra senza soluzione. Ed ecco rifiorire nella tematica dei beni comuni, quella che ci accompagnerà per i prossimi cento anni, il seminato degli anni nei quali Rodotà studiava la responsabilità del produttore e poi il regime dei suoli: “sono a “titolarità diffusa”, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà. Incorporano la dimensione del futuro, e quindi devono essere governati anche nell’interesse delle generazioni che verranno. In questo senso sono davvero “patrimonio dell’umanità” e ciascuno deve essere messo in condizioni di difenderli, anche agendo in giudizio a tutela di un bene lontano dal luogo in cui vive”.
Fuori dall’astrazione, è la vicenda di internet, che deve costituire una rete nella quale tutti possono accedere senza costi, altrimenti manca la sostanza stessa del diritto di partecipare e di realizzare la propria personalità. E certamente è un bene comune il patrimonio culturale di Ovidio, che non può – a differenza di quello che ha ritenuto il Tribunale di Sulmona l’anno scorso nella vicenda della corona di aglio delittuosamente poggiata sulla sua testa – coincidere con la tutela della statua e, quindi, con il rispetto dei soli diritti del proprietario della statua; tanto è vero che anche chi non è sindaco del Comune proprietario della statua può agire in giudizio “a tutela di un bene lontano dal luogo in cui vive”.
L’essenziale, come per tutti i veri Maestri, è aver seminato bene. E se per l’affermazione di una società più giusta Sandulli riteneva che le aree avvantaggiate dagli strumenti urbanistici dovessero essere incise per creare una cassa di compensazione a favore di quelle con destinazioni meno favorevoli (e certamente Sandulli non era comunista; voleva solo evitare che si compisse quella che Massimo Severo Giannini definiva la peggiore vicenda corruttiva nella gestione delle amministrazioni locali), Rodotà ha tracciato le linee attraverso le quali tutti potremo sentirci padroni delle cose della nostra società, della nostra civiltà, della nostra vita.
Poi non è detto che la giurisprudenza recepisca subito la sostanza delle cose che si manifesta secondo una interpretazione profonda e innovativa: come sosteneva il grande imperatore romano Adriano secondo il filtro di Yourcenar, avere ragione troppo presto significa avere torto (v. “Ma veramente è andata così?“, colloquio con il prof. Pietro Rescigno). Ma i Maestri non hanno il compito di leggere le norme e pretendere che gli allievi le mandino a memoria, perché se fosse così scomparirebbero alla prima modifica della legge; invece continuano ad accompagnare il cammino del diritto. E restano presenti, molto più a lungo di una afosa giornata di giugno nei viali della Sapienza, come quella di oggi, una di quelle che segnavano le sessioni dei loro esami e il definitivo saluto agli studenti del corso.