DIALOGO CON DACIA MARAINI A PESCASSEROLI DAVANTI AD UNA FOLLA STRARIPANTE
17 AGOSTO 2024 – “La devastazione dei cadaveri di Fallujah era uguale a quella che vedevamo nelle foto dei morti a Dresda dopo i bombardamenti nella seconda guerra mondiale. Il fosforo bianco, arma non convenzionale, aveva ucciso migliaia di persone senza devastare l’ambiente circostante”. Con questa testimonianza diretta, Sigfrido Ranucci ha impressionato il foltissimo pubblico intervenuto in Piazza Umberto I per la presentazione del libro “La scelta”. Il giornalista di “Report” (Rai 3) ha intessuto una conversazione con Dacia Maraini, che ha organizzato l’evento nella “sua” Pescasseroli.
Sbigottiti quelli che non avevano ancora letto le durezze di una vita da inviato molto speciale; desolati anche quelli che le avevano lette e che avrebbero voluto un aggiustamento consolatorio, un “…ma c’è stato qualcosa di diverso e di meno mostruoso” rispetto all’inutile accanimento sulla “Firenze del Nord” di settanta anni prima quando era già tutta macerie. Invece Ranucci non ha addolcito il boccone amaro del risveglio dalla favola dell’esportazione della democrazia da parte degli Americani; anzi, in qualche punto ha reso più realistico l’impatto con la slealtà della guerra combattuta contro le convenzioni, con l’annotazione di particolari, per lo più politici, che il libro non conteneva per ragioni di spazio, non certo per opportunità. E’ stato quando ha affrontato il tema dell’ “etica dello Stato”, per il quale si è riallacciato alla trattativa tra Stato e mafia in Italia che, ha confermato, c’è stata anche se un processo non l’ha sanzionata, “perché non sono ancora maturi i tempi dello Stato che processa se stesso”.
Eppure nel silenzio pesante della piazza gremita qualcuno avrebbe voluto che l’autore rileggesse e, possibilmente, riscrivesse le pagine sullo scempio compiuto dagli Stati Uniti d’America nel 2005 anche contro civili. Qualcuno si è aggrappato alla rivelazione dello stesso giornalista sulla… non morte di una amica che aveva scoperto il suo tradimento e, uscendo di corsa da casa per chiudere definitivamente con l’ultima espressone di maschio nella quale s’é imbattuta, viene travolta da un’auto e muore. “Non è morta nella realtà” ha risposto Ranucci a Dacia Maraini che lo portava sul privato forse anche per respirare un po’. E questo ha alimentato le speranze che il fosforo bianco, del quale una democrazia dovrebbe vergognarsi (per non essere stata capace di bloccarlo mentre veniva lanciato) fosse stato anch’esso inventato. Invece l’inviato che ha un patto sacro con la verità dei suoi servizi giornalistici e può aggiungere qualche particolare non vero sulla vita privata, ha rincarato la dose, raccontando che la finta occupazione di tutto l’Iraq con il grido di vittoria che si è sollevato nel mondo alla vista dell’abbattimento della statua di Saddam è stata una messa in scena per i giornalisti che alloggiavano all’albergo di fronte, così da far riprendere quelle fasi senza rischiare niente e soprattutto senza guardare tutto il resto del teatro di guerra.
Dunque, non è vero che la Storia si propone una prima volta come tragedia e una seconda come farsa. Sigfrido Ranucci dimostra che la seconda volta può essere una tragedia, anche peggiore della prima.
Libro da consigliare alle scuole di giornalismo? Destino troppo limitante per una galleria del “secolo duro” Novecento e dell’introduzione del XXI. Non si può chiudere nelle scuole di giornalismo anche se un capitolo è intitolato proprio “Trappole” per mettere in guardia i giovani virgulti dal seguire piste che appaiono facili. Deve circolare, questo libro, perché infonde speranza e dimostra che un inviato speciale può nascere anche in una famiglia assolutamente anonima, vissuta alla Garbatella (“dove sono nato anch’io, qualche anno prima della Meloni”), con un sottufficiale della Guardia di Finanza che ha cura del figlio in modo concreto, dopo avergli messo il nome di suo padre (“Dunque un nonno amante dell’Opera?” ha proposto in un momento di distrazione Dacia Maraini, subito corretta dal Sigfrido in carne e ossa: “No, veramente il padre di mio nonno era amante dell’Opera”, perché non sono ancora nati i melomani che si danno un nome). Speranza perché in una società frastagliata, talvolta descritta come imbarbarita, talaltra come obnubilata dai miti dello sport e del Gratta e Vinci, può nascondersi un fermento di civico orgoglio che detta anche tante rinunce tanto che, al termine di una amabile conversazione con una raffinata intellettuale, riporta il giornalista alla realtà quotidiana, con la scorta che lo attende accanto al palco.