26 NOVEMBRE 2011 – Carlo Console, vice-comandante del Corpo Forestale dello Stato all’Aquila, nella ricerca delle fonti e di documenti, è andato anche sulla tomba di Montanari, di Forlì, che era stato capo dell’ispettorato per le Foreste dell’Aquila ed aveva svolto in venti anni una paziente opera di persuasione per incentivare la collocazione di pino nero, specie vicino ai paesi di montagna, per proteggere dagli eventi atmosferici. Tutto il contrario di quello che, almeno da cinquanta anni ad oggi, è stato perseguito sul territorio in tutta Italia, Abruzzo compreso e Molise compreso, dove la crescita delle zone urbanizzate è stata dell’ordine del 500% in pochi anni.
Nel convegno “I segreti del bosco”, tenuto a Roccapia, Console ha riportato molti dati, ma ha indicato soprattutto una tendenza preoccupante: il bosco come tale comincia ad essere una eccezione alla regola, anche in regioni come l’Abruzzo, dove i Romani talvolta preferivano non avventurarsi segnando sulle mappe “hic sunt leones”. Dal 1952 non si fanno più rimboschimenti: un tempo sconfinato, se si pensa alle esigenze di rinnovamento e se si pensa alla incessante attività di depauperamento che almeno fino a quel periodo era stata effettuata in tutto il patrimonio naturale per soddisfare le esigenze di vita o di sopravvivenza degli uomini. Fino ad un certo punto, in effetti, il bosco dava soltanto e nessuno si è fatto scrupolo di prendere. Ma altrettanta leggerezza è stata riservata alle esigenze di pulizia del bosco, che a lungo era stato considerato come luogo da coltivare e con il quale fare i conti per la pianificazione del territorio.
Oggi le cose vanno paradossalmente meglio, perchè i paesi di montagna non sono aggrappati alle vicende della natura che li circonda. Più che altro abitati da persone che lavorano in città e tornano solo a dormire, oppure da turisti del fine-settimana, i luoghi vicini alle zone antropizzate non sono più stretti dalla morsa delle necessità. Forse si può sperare in una inversione di tendenza.