UTILI NAVIGAZIONI NELL’OCEANO CULTURALE DELLA ENCICLOPEDIA TRECCANI, PIU’ CELEBRATA CHE LETTA – UN’ALTRA IDIOZIA SMASCHERATA DALL’ISTITUTO, FIORE ALL’OCCHIELLO NEL MONDO
25 MAGGIO 2024 – “Navigare nella rete” è espressione che, lungi dal dare l’idea dello spazio e dell’immensità, rende bene la reale condizione di chi si serve di internet per esplorare: potrà farlo solo fino ai confini segnati dall’ambito nel quale si trova. Negli spazi, pur grandi, che contengono gli allevamenti di salmoni tra i fiordi norvegesi, le reti servono a contenere l’inferno della mancata libertà. Navigare nella “Enciclopedia italiana” fondata da Giovanni Treccani dà la consapevolezza dell’immensità della cultura, perché non è tanto il peso dei trentacinque volumi del Ventennio e degli altri venti di aggiornamenti e indici a trasmettere la monumentalità dell’opera, quanto le minuzie che rimandano ad altri colossali contributi. “Si distingue per la dovizia della bibliografia” osservò il prof. Ilio Di Iorio quando seppe che l’avevamo comprata proprio mentre tutti pronosticavano il tramonto del libro scritto.
Fu un atto di curiosità a spingere all’acquisto: la Treccani forse era più celebrata che consultata. “Per stupire mezz’ora basta un libro di storia / io cercai di imparare la Treccani a memoria” cantava Fabrizio de Andrè per descrivere l’errante sconclusionatezza dello scemo del villaggio (ma anche la presuntuosa ambizione dei conferenzieri pret a’ porter). “E dopo maiale, Majacovskij e malfatto / continuarono gli altri fino a leggermi matto”, per denunciare la vile propensione allo scherno verso un uomo fragile (“Dietro ogni scemo c’è un villaggio” è il sottotitolo di quelle strofe).
Così, per chi è libero e non sta dalla parte dei salmoni di allevamento ed opta per la navigazione nell’oceano, l’opera del Ventennio, scaturita dalla mente di un filosofo colto ed intelligente come Giovanni Gentile (forse proprio per questo ucciso in un agguato da vigliacchi), riserva diramazioni da cogliere vincendo la distrazione e la superficialità; rifuggendo dal politicamente corretto. Per intenderci, se cultura è formazione che consente di scampare dall’ovvio o solo dal gradito al momento, la Treccani dà molti spunti. Vincendo la lubrica tentazione di leggere la voce “Sulmona” quando lo spedizioniere ci consegnò i tre quintali di volumi dieci anni fa, l’abbiamo letta solo ieri. Ovidio ha il suo decoro nella statua di pietra che oggi si conserva al Palazzo dell’Annunziata, invece di quella del Ferrari che è appropriata per i lidi della relegazione, con lo sguardo triste di chi ripensa a quello che ha lasciato. Infatti, il monumento in Piazza XX Settembre è solo la copia di quello che i Rumeni dedicarono al sommo vate prima dei Sulmonesi, tanto per cambiare e prima che quattro affaristi sulmonesi lo deturpassero con una corona d’aglio.
Ma nei particolari si potrebbe nascondere la virtù, non il diavolo. E leggiamo cosa scrive la Treccani sulla Sulmona del medioevo: “Pure gli Angioini favorirono particolarmente Sulmona, che attrasse per un momento l’attenzione del mondo cristiano quando nel 1296 fu incoronato papa nella sua cattedrale Celestino V, disceso dall’eremo del Morrone per salire sulla cattedra pontificia”.
Ohibò. Ma la vulgata non era per un tripudio di Collemaggio, al quale sarebbe stato presente pure Dante Alighieri? E questo la Treccani dava alle stampe nel 1937, quando il rapace capoluogo troneggiava con i suoi federali e le loro scorribande in provincia e a Roma, tutti con un preciso riferimento nei palazzi accanto alla fortezza spagnola? Che fosse vera l’altra storia, molto più credibile, di una investitura di Celestino nella cattedrale sulmonese e di uno spostamento, poi, nella cittadella aquilana, che era ancora una accozzaglia di ville? Forse fu un’appendice per premiare il tradimento dei Campi Palentini contro Corradino di Svevia. Alla favoletta di un ottuagenario che dall’eremo di Sant’Onofrio si reca su un asinello fino a L’Aquila hanno sempre creduto in pochi. Innanzitutto, chi volle eleggerlo papa non si arrischiava di sottoporlo ad un viaggio così pericoloso e così sfiancante. E’ più probabile che gli volesse dare l’investitura a due passi dall’eremo e poi, magari, farlo arrivare a L’Aquila per coreografia.
Ed è, così, molto più realistico che quella aquilana sia stata la prima visita pastorale del nuovo papa. Bella, sì, festosa pure, ottima occasione per appropriarsi del seguito turistico della Perdonanza (misto di Perdono e Speranza, come Sanbitter); ma pur sempre visita di un papa già consacrato. D’altra parte è certo che Celestino, prima di avviarsi a L’Aquila, celebrò messa a Sulmona (tanto che quando venne Benedetto XVI, nel 2010, si sottolineò che era il secondo papa a dir messa a Sulmona dopo Celestino). E’ improbabile che l’abbia fatto da fraticello, nascondendo la sua reale identità, se era già papa dal 5 luglio (quando lo Spirito Santo illuminò i cardinali nel conclave di Perugia), mentre a Collemaggio andò il 29 agosto. Seppure le preghiere della messa sono cambiate in ottocento anni, qualche invocazione concernente il papa pure ci sarà stata e Celestino cosa ha fatto, ha glissato? “Insieme al nostro papa Francesco, il nostro vescovo Michele…” dicono ogni giorno i celebranti. Secondo l’agiografia aquilana, Celestino avrà detto “Insieme a me, papa eletto, ma incoronato domani”?
Del resto, non è la prima volta che le fandonie aquilane vengono smascherate dall’Istituto dell’Enciclopedia italiana che, come abbiamo riportato, con il contributo dell’aquilano prof. Alessandro Clementi, ha fatto giustizia dell’idiozia di “Aquila città di Federico”, nonostante impervessassero già la Deputazione di Storia patria e la Fondazione Carispaq. Poi, beninteso, come in tutte le ricerche storiche, vanno confrontate le fonti, perchè proprio la “Treccani”, alla voce “Celestino V” scrive che fu “consacrato ad Aquila”; e nella voce su Sulmona c’è l’imprecisione sull’anno della incoronazione (1296, invece del 1294). Ma questa è la fatica di chi cerca la verità e non si ferma al primo risultato.
Le ricerche fuori della rete indubbiamente sono più accattivanti e portano a risultati più attendibili. Per esempio, se Sulmona fosse governata da persone premurose e attente alle sue esigenze di luogo storico che dalla valorizzazione del suo passato può trarre risorse per il suo presente, si promuoverebbero indagini per capire quali siano state le fasi dell’elezione di Celestino V al papato e del percorso che egli fece dall’eremo di Sant’Onofrio fino all’Aquila, per sapere se quella di Sulmona fu la messa dell’incoronazione, ancorchè secondo un rito semplice e consono alla spiritualità del personaggio, prima che l’ombra di Carlo d’Angiò lo avvolgesse secondo le dinamiche della secolarità nella quale viveva la Chiesa e prima che proprio per questo Celestino se ne allontanasse.
(Nella foto del titolo Benedetto XVI si accosta alle spoglie di Celestino nella visita a Sulmona del luglio 2010. Più in basso l’affresco dell’Abbazia celestiniana di Santo Spirito raffigurante Celestino che detta la Regola. Qui sotto l’immagine di Celestino V con la tiara)