LA STORIA VERA – Il poco onorevole acquisto della fortezza di Pescara

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Armi spuntate dei Borboni contro la corruzione piemonteseCORRUZIONE A FIUMI NEL RISORGIMENTO ABRUZZESE

15 GIUGNO 2013 – Se la parentesi di “Mani Pulite” ha fatto sperare l’Italia in un sussulto di legalità, o almeno nella repressione della corruzione come sistema di vita, il ventennio successivo, pezzo a pezzo, ha mostrato che l’abitudine di vincere le difficoltà con il sistema del regalo all’uomo giusto nel momento giusto prevale ricorrentemente (in alto a sinistra un cannoncino dell’esercito borbonico).

Purtroppo da questo dato di fatto si deve partire per dirsi una volta per tutte che la corruzione è male endemico e che, quindi, moralmente una nazione deve allestire gli anticorpi, se vuole evitare che sia caratterizzata per questa sua “abitudine”, che le vicende stesse della sua storia siano permeate dalla mentalità della piccola o grande parte da regalare, da lasciare sul tavolo da gioco non per l’avversario, ma per chi manda avanti gli ingranaggi. La storia di una nazione ancora giovane come l’Italia è costellata da episodi che non sono più da interpretare come occasionali deviazioni dal giusto, perchè costituiscono materia stessa di quella storia. Se occorrerà studiare altri 150 anni le fasi del Risorgimento, ben venga questo studio, per cancellare il conformismo rassicurante. Se questo servirà a stanare la mentalità della corruttela e del latrocinio di Stato, leggere quello che è accaduto 150 anni fa serve allo stesso modo che studiare l’ardore e la cristallina certezza nella fede di Mazzini, lo slancio di Garibaldi o di Anita, la capacità di tessere diplomazia di Cavour. E le fonti non debbono essere sempre le stesse, perchè alcune si sono dimostrate le prime cause della disinformazione e del racconto storico addomesticato alle esigenze dello “status quo”.

Uno storico non organico

Ricchissimo repertorio di episodi sconosciuti è contenuto nella “Storia” di Cesare Cantù, autore che di certo non era meridionale, ma che aveva sui Savoia una convinzione molto severa: forse è stata quella che gli ha consentito di scrivere senza dettatura (a destra: lo stemma dei Borboni di Napoli).

Stemma borbonicoQualcosa riguarda anche un angolo della nostra regione. E che angolo.

Nel suo “Della Indipendenza Italiana – Cronistoria”, edito nel 1876 dalla prestigiosa UTET, Cantù riporta (vol. III, parte 2^, pag. 29) l’eco di una processo civile:

“Nel 1870 un tale De Cesaris abruzzese citò in tribunale il Villamarina, che nel 1860 lo aveva incaricato di sollevare gli Abruzzi, impedire la congiunzione delle truppe napoletane con quelle del Lamoriciere, a tal uopo corrompendole. L’intelligenza fu fatta nel palazzo e confermata dal Comitato d’azione, presenti testimoni; e il De Cesaris spese ventitremila ducati per far defezionare la guarnigione di Pescara; fattosi arrestare e condurre in questo fortezza, vi riuscì a subornarne duemila, e così ottenne quel forte, che consegnò ai Sardi. Diceva esser notorio ch’egli possedea quei ventitremila ducati, e li distribuì pure acciocchè i soldati, abbandonando il forte, non si buttassero alla campagna; che il forte fu consegnato con munizioni da bocca e da guerra pel valore di un milione di ducati. Più volte cercato compenso dal re e dei ministri, or lo domandava legalmente. Il procuratore del re respinse con indignazione questa sfacciata professione di mercimonio, e il tribunale proferì che il De Cesaris non avea facoltà di stringere quei turpi contratti, né quindi d’invocare l’autorità giudiziaria per l’adempimento del vituperoso mercimonio”.

Il prezzo della corruzione e la causa per averlo

Veramente si apre un fronte immenso da queste carte di un processo che non si sarebbe voluto celebrare proprio nell’anno nel quale Roma veniva ridata all’Italia per diventarne capitale. Gli aspetti intollerabili sono diversi: la conferma di un patto scellerato (è proprio il “Comitato d’azione” ad accreditare la ricostruzione del De Cesaris); il rifiuto ad adempiere da parte di chi aveva promesso tutti quei soldi per espugnare una postazione militare (altro che conquista dell’Italia con mille camice rosse…); il ruolo del Villamarina, che non era un prestanome o un avventuriero, ma uno di coloro che facevano da battistrada alle imprese piemontesi nel Meridione d’Italia, tra l’altro con un carteggio ufficiale con Cavour in persona, sebbene Cavour fosse tiepido; un tribunale che si rende strumento di una pagina di storia a dir poco opaca aggrappandosi alla nullità del contratto illecito e alla conseguente inesigibilità della prestazione; un corruttore (e qui siamo all’aspetto forse comico) che si rivolge ad un tribunale per esigere il prezzo del suo delitto.

La fortezza borbonica di Pescara non è fra quelle espugnate; è tra le conquiste di una pratica che dopo i Borboni ha costituito, purtroppo, una caratteristica (non la più cospicua, per fortuna) di una aggregazione di potere che nel suo peccato originale ha avuto occasione di ripetersi con drammatica precisione, fino ai giorni nostri e nonostante il valore di molte battaglie, pure intraprese dagli anticorpi presenti nella parte sana della società italiana.

Giovani soldati mandati allo sbando

Uno scorcio della fortezza di Civitella del TrontoLo stesso lavoro del Cantù riporta un passo di Marco Monnier sui tradimenti, “le viltà civili, l’adesione quasi generale de’ funzionarj, degl’impiegati, che violano il loro giuramento al re vinto per rimanere ne’ loro posti, e che si ascrivono a gloria l’essere spergiuri e traditori”. E il Monnier afferma di non prendersela neanche tanto con le “defezioni dell’armata, le rotte, gli sbandamenti di Calabria; i soldati trascinati nella sera da’ loro generali in talune strette, dove nel mattino si destavano circondati da’ Garibaldini: il denaro intascato da que’ che si salvano, o si nascondono, o defezionano ahimè dopo aver venduto il loro re”, considerando quegli altri esempi di viltà molto peggiori (a sinistra un camminamento della fortezza di Civitella del Tronto, l’ultima, dopo Gaeta e Messina, a cedere, due giorni dopo che a Torino era stato proclamato il Regno d’Italia).

Per recuperare dignità morale occorre ricostruire la Storia, mostrare quella vera, anche adesso che sono finite le celebrazioni dei 150 anni. Occorre sapere perchè soldati italiani (il tricolore era stato adottato anche da Francesco II negli ultimi mesi del Regno) che avevano affidato la loro vita ai loro generali furono condotti in “talune strette” e lasciati prendere prigionieri per poi essere condotti ai mattatoi di Fenestrelle, da altri Italiani. Il tutto poco prima che, proprio nel parlamento italiano il I agosto 1863, un deputato, Castagnola, gridasse come un indemoniato : “Bisogna radicare in quelle popolazioni la credenza che tutto è possibile; che si bruciano anche tutte le città, ma che, perdio, non si va indietro”.

Già, tutto è possibile, come lo era stato fin a quel punto, anche con ventitremila ducati per prendere la fortezza di Pescara. Se non si farà chiarezza una volta per tutte sul significato della parola “corrotto” e “traditore”, si ripeteranno per chissà quanti altri “dopo-guerra” le aspirazioni a conoscere la verità storica al di là di quella propinata dai vincitori e non si potrà fare nessuna Italia davvero condivisa, almeno dagli onesti.

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