MA IL POPOLO POTRA’ PARLARE?

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IPOTESI DI INDIRE UN REFERENDUM SULLA CENTRALE DI SPINTA DELLA SNAM – UNA BATTAGLIA CONTRO ATTI IRREVERSIBILI QUANDO STANNO PER PARTIRE LE RUSPE

22 FEBBRAIO 2023 – Il referendum è istituto che non ha avuto molta presa nel panorama dei mezzi di partecipazione democratica: basta guardare alle percentuali di affluenza alle urne in quasi tutte le consultazioni del genere, se si escludono i temi del divorzio, del finanziamento pubblico ai partiti e del nucleare.

Tuttavia, la proposta di indire un referendum sulla centrale di spinta del gas non va sottovalutata. E’ vero che si sono percorse altre strade, come quelle dei ricorsi al tar; è vero che quando i politici avrebbero potuto esprimere un dissenso o, meglio, una ferma opposizione, sono stati assenti (come quando la Regione fu convocata a Palazzo Chigi il 22 dicembre 2017). Ma proprio per questo una azione che parta dal basso può avere, oggi, un significato. Può sostituire l’iniziativa di chi era chiamato a rappresentare un territorio, prima che si compiano atti irreversibili. E può essere da supporto ad altre azioni che in questo momento non si possono tralasciare: come la verifica della esistenza di un sito archeologico di rilievo nell’area ove la centrale di spinta dovrebbe sorgere (a Case Pente); come la perorazione dell’altro argomento inoppugnabile, che valorizza la confluenza di confini di ben due parchi nazionali proprio dove una produzione smodata di residui della combustione compromette irreparabilmente la tutela ambientale.

Abbiamo già prospettato che ben altro è l’approccio a questo tema nella cittadina di Piombino, dove nessuno ha smesso di sostenere una opposizione ferma. Ma questo non significa che una popolazione debba rinunciare a intraprendere una strategia propria, diversa da quella dei politici. Un chiaro indirizzo che venisse dalle urne potrebbe anche rendere giustizia di un equivoco che già è circolato in tre anni di (stentata) battaglia: che, cioè, si possa perseguire una compensazione tra il danno ambientale che di certo una centrale di spinta del gas determina e gli indennizzi che verrebbero versati a Comune e altri enti o locali. La partecipazione massiccia e, insieme, un risultato netto potrebbero avvalorare il diniego di tutta la Valle Peligna e tradurlo in atti concreti, almeno fino a quando non si faccia chiarezza su quello che di antico giace sotto il primo manto di terra e pietrisco di Case Pente; almeno fino a quando un ministro per l’ambiente non ravvisi lo scempio di un impianto altamente inquinante a contatto con le tane di orsi e lupi e i nidi di aquile e falchi.

Forse si tratta solo di guadagnare tempo, se è vero che di qui a meno di un ventennio i combustibili fossili dovranno essere banditi, onde lo stesso gasdotto, prima ancora della centrale di spinta, sarà ferro vecchio.  Perderà consistenza anche l’argomento della penisola italiana come il punto di transito di flussi di energia destinati al Nord Europa (con quale effettivo beneficio economico è tutto da dimostrare).

Le ruspe che nei prossimi giorni si prevede entreranno in azione possono ancora essere fermate, con il più democratico dei mezzi di espressione. E, ormai, con l’unico rimasto. Anzi, potrebbero fare il lavoro per il quale finora non si sono trovati fondi sufficienti e riconsegnare ai Peligni i reperti italici. A quel punto, prima che si allestiscano i seggi, dovrebbe entrare in azione una Soprintendenza che si precipita sempre a bloccare lavori per ogni capitello che occhieggi dalle pietre ammassate  dal tempo e dalla storia.

La protesta lungo il Corso Ovidio negli anni scorsi
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