PARCO NAZIONALE, L’ULTIMA GITA DI PAOLO BORSELLINO “LIBERO”

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ESCE PER FELTRINELLI LA BIOGRAFIA DEL GIUDICE SCRITTA DALLA MOGLIE AGNESE

10 FEBBRAIO 2014 – E’ una delle ultime immagini di Paolo Borsellino libero di scegliere i suoi movimenti e le sue amicizie, quella del Parco Nazionale d’Abruzzo.

E’ l’estate del 1977, un anno dopo comincerà quella che lui stesso avrebbe chiamato, con i suoi familiari, la “vita blindata”: la vita che si concluse in Via d’Amelio a Palermo, per il tritolo fatto esplodere  da chi con lo Stato condusse un trattativa, sulla vita di un eroe dei nostri tempi, di un guerriero dei nostri tempi.

Profuma ancora di stampa l’ultimo dei tanti libri sul giudice Paolo Borsellino: “Ti racconterò tutte le storie che potrò”, una lunga e dilicatissima intervista di Agnese Piraino Borsellino “consegnata” alla penna di Salvo Palazzolo qualche mese prima di morire e undici anni dopo che Via d’Amelio aveva segnato il punto di non ritorno per le inchieste del pubblico ministero più solo della storia repubblicana.

Le cascate della Camosciara tratteggiano una giornata felice, con Paolo Borsellino accompagnato dalla sigaretta di tutte le ore, forse di tutti i minuti. Con lui si vedono i figli Lucia (“Luce dei miei occhi” aveva detto quando era nata) e Manfredi (chiamato così in onore dell’ultimo Re di Sicilia, lo stesso Manfredi che a Sulmona ha donato l’acquedotto medievale di Piazza Garibaldi). Ed è proprio Lucia ad avere scritto un diario del lungo viaggio, che li portò in Toscana, in Abruzzo e in Campania: “Venerdì siamo andati a visitare il Parco Nazionale d’Abruzzo. Io, Manfredi, papà e zio Bruno abbiamo fatto una passeggiata in mezzo al bosco e siamo arrivati alle cascate. Abbiamo bevuto l’acqua ghiacciata del ruscello e ci siamo fatti la fotografia. Poi siamo andati a Pescasseroli a vedere gli animali. Abbiamo visto cerbiatti, tre orsi, tre lupi, due aquile, api, serpenti che lasciavano la pelle che gli ricresceva e tante altre cose. I lupi andavano avanti e indietro. Domenica siamo andati in un bosco dove abbiamo incontrato dei cacciatori. In questo bosco papà chiamava un nome e l’eco rispondeva”.

Tempo un anno e comincia la recrudescenza delle imprese mafiose. Agnese racconta: “Poi iniziarono i giorni difficili di Palermo: dopo il capitano Basile toccò ad altri amici, colleghi o collaboratori di Paolo. Cadevano uno dopo l’altro. Mio marito ripeteva: “Non possiamo arrenderci, bisogna andare avanti”.”

Paolo Borsellino si muove come un uomo che vuol salvare la sua terra, la sua Sicilia; e compie la scelta della legalità, quella vera, che richiede anche il sacrificio estremo, senza fare un passo indietro, neppure per strategia o per riprendere fiato. Sembra di leggerlo tutto, in queste pagine, il percorso di Paolo Borsellino che nel giugno del 1992 viene a sapere dell’attentato che gli si prepara; che all’inizio di luglio viene a sapere che il tritolo per lui è già arrivato a Palermo. E ciò nonostante non indietreggia.

Avremo diritto a sapere se a collocare il tritolo in Via d’Amelio  siano stati quelli che avrebbero dovuto tenerlo lontano?

Sullo stesso tema: “Chi impediva il riscatto del Sud?  – Il progetto di Paolo Borsellino di ridisegnare una “terra meravigliosa”” nella sezione 150 ANNI di questo sito.

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