CAMMINANO INSIEME IL PRINCIPE E OVIDIO MA NON SI ABBRACCERANNO MAI – LA CONFERENZA DI ROSANNA TUTERI NEL BIMILLENARIO
21 FEBBRAIO 2017 – Una lettura della propaganda attraverso la formazione delle città e la loro trasformazione è stata quella che la dott.ssa Rosanna Tuteri ha proposto oggi per inquadrare la fascinosa esperienza di Publio Ovidio Nasone a duemila anni dalla sua morte. C’è scritto di tutto nelle “res gestae” scolpite da Augusto per celebrare la sua vita; c’è anche la propaganda spicciola, quella che in altri tempi avrebbe potuto generare satira. Ai tempi di Augusto non era facile dissentire: soprattutto perché i risultati dei suoi sessanta anni di imperio sono stati quelli che hanno fondato il dominio non solo suo, ma di Roma nei secoli seguenti e la sua fama nei millenni successivi. La città con i suoi immensi edifici soverchiava il dissenso, lo relegava al mormorio; quello che tutt’al più gli spiriti liberi potevano fare era mettersi da parte, come Messalla Corvino (mecenate di Ovidio) fece senza troppe celebrazioni, semplicemente non accettando un importante e redditizio incarico pubblico.
Il progetto di pacificazione e di convivenza dei molti popoli soverchiava sotto altro aspetto il dissenso, lo relegava nelle terre lontane. Sarà stato il dissenso a emarginare Publio Ovidio Nasone (come del resto suggerisce il prof. Canfora)? Curioso destino quello del Sulmonese, che artisticamente vive della eleganza dei suoi versi, ma eticamente rifulge per il castigo ricevuto dal principe, cosicchè ogni volta che si parla della grandezza di Augusto, si deve parlare della contrapposizione di Ovidio, se ci sarà qualcuno nel mondo e nei millenni a venire che sarà punto dal problema di fondo sui veri motivi della relegazione.
Tuteri, all’auditorium di Piazza Venezuela e per la “Univesità della libera età”, è stata incalzante nei suoi riferimenti alla documentazione raccolta in tutte le terre dell’Impero mediterraneo, praticamente sconfinata, rapportando i fasti della edilizia e delle opere pubbliche o dei monumenti ai “Fasti” che Ovidio intraprese per celebrare (anche) la nuova potenza di Roma (ma non nel modo organico di Virgilio) e che non potette completare nella relegazione. E’ parso di assistere al racconto di una grande convivenza impossibile, del sogno di tutte le civiltà: quella tra un principe imbattibile nel suo identificarsi personalmente con l’impero, semi-dio in vita e poi elevato agli altari, e dell’intellettuale che vive del suo stilo e della cultura assorbita dall’ambiente greco. Una lotta impari; ma che si può riassumere con la frase che Ovidio riserva all’esperienza di Fetonte nel suo relazionarsi con il Sole: “Non seppe guidarlo e cadde; ma l’impresa fu grandiosa”. E ora i versi di Ovidio a Roma riposano accanto alle insegne imperiali.
Conferenza che andrebbe pubblicata. Sicuramente il punto più alto di questo Bimillenario ovidiano.