IL CONTRIBUTO DI STEFANO RODOTA’ SUI TEMI DEI BENI COMUNI
14 NOVEMBRE 2015 – Ferri arrugginiti come questo aratro nella campagna romana: sono gli strumenti di chi ragiona ancora in termini di proprietà esclusiva e individuale per alcuni beni, quindi, soprattutto, per i beni di rilevanza artistica, storica e archeologica.
La statua di Ovidio appartiene a tutti, nella misura nella quale il patrimonio culturale (quello letterario soprattutto) di Ovidio appartiene a tutti, come egli stesso ha voluto sostanzialmente nell’ultimo libro delle Metamorfosi, in quella dedica al mondo che allora appariva come il mondo dei Romani.
In una imponente post-fazione ad un testo che indaga le strade della formazione dogmatica dei “beni comuni” (“Beni comuni: una strategia globale contro lo human divide”), il prof. Stefano Rodotà fa il punto di un percorso che parte dagli Stati Uniti d’America, dall’Università di Yale e non da un soviet, per liberare il dibattito dal pregiudizio del contrasto tra beni pubblici e beni privati. Cioè parla di una “riflessione che riguarda i “beni primari”, necessari per garantire alle persone il godimento di diritti fondamentali, e per individuare gli interessi collettivi, le modalità di uso e gestione dei beni stessi”. E torna sul fondamentale apporto (non più dogmatico, ma pratico e normativo) della “funzione sociale della proprietà” prevista dall’art. 43 della Carta fondamentale: autentica ossatura del ciclo di lezioni sulla “Legge Bucalossi” nel 1977 dalla Cattedra di Diritto Privato della “Sapienza”, nella felice epoca nella quale rimasi ad ascoltarlo.
Il Tribunale di Sulmona, quando manca poco alla sua chiusura, dovrà pronunciarsi su questa modernissima questione, quasi a lasciare al mondo dei giuristi una eredità che potrebbe qualificarlo. Si tratta di tutelare, infatti, i beni comuni che, secondo uno dei maggiori interpreti del diritto privato come Rodotà, “sono a “titolarità diffusa”, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà. Incorporano la dimensione del futuro, e quindi devono essere governati anche nell’interesse delle generazioni che verranno. In questo senso sono davvero “patrimonio dell’umanità” e ciascuno deve essere messo in condizioni di difenderli, anche agendo in giudizio a tutela di un bene lontano dal luogo in cui vive”.
C’è tutto in questa conclusione, sostanzialmente la conclusione alla incantevole dissertazione del prof. Rodotà, che oggi potremmo avere presidente della Repubblica se non fosse stato vigliaccamente ostacolato nella sua ascesa al Quirinale da parlamentari del Pd, piccoli e grandi perdenti, esaltati dall’atmosfera delle imboscate. Mettere una corona d’aglio in testa a Ovidio significa sottrarre, anche per poco, anche in piccoli ambienti, la piena e riconosciuta fruizione dell’opera d’arte, ma anche del personaggio e tutti, anche chi abitasse a Boston, può reagire in giudizio; figuriamoci chi abita dietro alla statua.