I CONSIGLI DELL’ARTE D’AMARE? PER I TIMIDI, GLI SCIOCCHI, I TROPPO VECCHI

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LA LETTURA DI UNA “AUTOBIOGRAFIA” DI OVIDIO SCRITTA DA VINTILA HORIA

18 APRLE 2016 – Una certa critica delle opere di Ovidio, superficiale e anche molto volgare,indugia sugli aspetti erotici (ma diremmo in realtà pornografici) che si vorrebbero designare come fili conduttori dell’opera del Sulmonese al punto che farebbero premio sulla celebrazione dei miti e dei fasti romani: un Ovidio poeta licenzioso, che avrebbe avuto fortuna solo per i contenuti piccanti. Ma dalla lettura dell’opera di Vintila Horia, che andiamo proponendo e che proporremo nel cammino di questo Bimillenario, si ha la conferma che la percezione di Ovidio tra i grandi era ed è proprio diversa da quell’autore di una specie di manualistica dell’approccio amoroso. Sappiamo bene che Publio Ovidio Nasone, dalla sua relegazione di Tomi, proclamò in almeno due circostanze che la sua vita era del tutto differente dal modello che si ricavava da quelle opere; e che, soprattutto, egli voleva essere ricordato per le Metamorfosi, come in realtà il mondo più colto, persino paesi islamici, lo ricordano affiancandolo ai più illustri narratori delle storie e delle nomenclature del miti. Nel suo “Dio è nato in esilio”, Horia fa parlare Ovidio nel modo che si percepisce dalla lettura dei “Tristia” e delle “Epistulae ex Ponto”

“Negli Amori ho scritto: “Non est certa meos quae forma invitet amores; / centum sunt causae, cur ergo semper amem” (Non una precisa bellezza mi invita all’amore, ma cento sono i motivi per amare sempre)  Che menzogna! Amavo solo lei, ho amato solo lei. Corinna è stata la praeceptrix del praeceptor amoris. Avevamo la stessa età, e andammo subito d’accordo. Il nostro amore non ebbe bisogno di tutte le formule e le ricette che ho inventato nella mia Arte per i timidi, i brutti, gli sciocchi, i troppo vecchi e infine per tutti coloro che, incontrando l’oggetto del loro amore, non ebbero la fortuna di incontrare Corinna”.

Vintila Horia, nella intelligenza dalla quale si fa guidare alla ricerca della vera condizione d’animo di Ovidio come traspare dagli scritti della relegazione, percepisce che i consigli dell’”Arte di amare” erano sostanzialmente per gli imbranati, quelli che dinanzi ad una bellezza ammaliante, sarebbero più portati a pensare “Adesso ci vorrebbe una persona esperta” piuttosto che ad essere protagonisti delle proprie emozioni. Lo stesso Ovidio, del resto, aveva ammesso di aver ceduto a quello scrivere per motivi che oggi si direbbero “di cassetta”, “rovinato” dalla vulgata che lo aveva applaudito come “praeceptor amoris”.

La fortuna di Ovidio è stata quella di aver trasmesso, dalle sue opere, il suo senso morale, il demone della indagine psicologica: “Come parlare di lei senza pensare alla tragedia comune che si è abbattuta su noi due? Avevamo ed abbiamo la stessa età. Ma a che servono questi stupidi rimpianti: era bella al tempo in cui la amavo.  E’ ciò che conta e nessuno potrà rubarmi questa verità. I suoi occhi erano verdi. Nel guardarla, avevo l’impressione di affondare in un’acqua chiara e fresca” scrive ancora l’io narrante di Horia, per il quale Ovidio attinge ad immagini purissime quando vuole descrivere le donne che lo hanno ispirato.

Con questo spirito è sicuro di conquistare le donne; i piccoli suggerimenti per gli inganni di altre conquiste, i precetti ai quali attingono anche oggi in molti, sono, appunto, “per i timidi, i brutti, gli sciocchi, i troppo vecchi”. Qualcuno ama riconoscersi in costoro?

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