LETTURE DOMENICALI – L’ESEMPIO DI CADMO CHE SCONFIGGE UN DRAGO IMMENSO E VELENOSO
4 OTTOBRE 2015 – “E per di più un coraggio superiore a ogni arma”.
Questa è la dote migliore di Cadmo, che nel terzo libro delle Metamorfosi appare come l’eroe senza macchia che vendica i suoi compagni aggrediti da un orribile mostro. Non lesina particolari Ovidio quando descrive il male e il malefico; basta leggere quello che dice dell’Invidia. Ma le sue rappresentazioni, da comparare a quelle cinematografiche dei nostri giorni, sono di una tale efficacia che fanno atterrire il lettore, in particolare quando, per il numero di leggende e di episodi mitici e dei personaggi che affollano le Metamorfosi, non si è davvero mai sicuri del buon esito, della vittoria del bene sul male, proprio perché talvolta a subire le trasformazioni più degradanti sono le creature più innocenti. Esce, dunque, da un antro coperto alla vista “un serpente figlio di Marte, irto di creste color oro: sprizzano fuoco gli occhi, il corpo intero è gonfio di veleno, guizzano tre lingue e tre file di denti si rizzano nella bocca”. Dei suoi oscuri movimenti ha sentore la gente di Tiro e quando egli sibila i corpi rimangono senza sangue e addirittura i vasi (che per solito vengono usati nelle cerimonie sacrificali) sfuggono dalle mani tremanti. Il serpente, autentico drago “gli uni uccide a morsi, gli altri stringendoli più volte, altri infine con il suo fiato, funesto flagello velenoso”.
Cadmo sopraggiunge e vede la strage dei suoi compagni: “Uomini fedelissimi – esclamò – o vendicherò la vostra morte o vi sarò compagno in essa”. Questo è l’eroe che condivide il destino dei soldati oppure riscatta il loro mito e il loro ricordo, innalzandolo alla memoria perenne. E per questo egli ha più di ogni arma il coraggio. Sì, è dotato di armi stupende: una lancia munita di lucido ferro e un giavellotto, proprio quelle che si conficcheranno nel corpo velenoso del drago; ma prima di tutto egli non teme, perché, come molti personaggi di Ovidio, è portatore di una missione che lo sovrasta e lo protegge. Forse anche questa poesia e le risorse di questa mitologia hanno aiutato l’esercito di Roma ad essere il più forte, a ricostruirsi dopo la disfatta di Varo in Germania e dopo tante altre sconfitte che l’aquila di Roma ha pur dovuto subire. Attingendo da queste descrizioni, i guerrieri, alimentati da ruvidissimo cibo e coperti da sobri vestiti, hanno affrontato le albe delle battaglie senza retrocedere, come Cadmo non retrocede davanti all’aggressione di un mostro spaventevole. Prova, Cadmo, a vincere il drago con un grande masso, che “scaglia con grande impeto: sotto quel colpo le alte mura di una città sarebbero crollate insieme alle torri eccelse; il serpente, invece, restò senza una ferita, protetto, a mo’ di corazza, dalle squame e dalla durezza della pelle nera”. Cadmo lancia il giavellotto “che rimase conficcato a metà dell’arcuata spina dorsale, sicchè il ferro penetrò tutto nelle sue viscere. Il mostro inferocito per il dolore voltò il capo verso il dorso, vide le ferite e prese a morsi l’asta conficcata e, dopo che con gran violenza la scrollò in ogni senso, riuscì a toglierla dalla schiena; il ferro tuttavia restò fisso nelle ossa. Allora, dopo che si è aggiunta una causa recente al furore usuale, le vene del collo gli si gonfiano e una bava biancastra fluisce introno alla bocca velenosa; risuona la terra su cui strisciano le squame e l’alito che emana dalla bocca, nero come lo Stige, rende l’aria appestata”.
Il coraggio ha premiato Cadmo; la fortuna, come sempre, aiuta gli audaci e soprattutto coloro che hanno visto l’orribile spettacolo di una strage di “uomini fedelissimi”, quelli che, con il loro silenzio ormai eterno, attendono che l’ingiustizia venga cancellata, perché, viceversa, non riposeranno mai. Sempre il drago “ora si attorciglia formando grandi spirali, ora si erge più dritto di una lunga trave, ora come un fiume gonfiato dalle piogge si muove impetuosamente e abbatte con il petto gli alberi che gli si parano contro”. Cadmo, figlio di Agenore “indietreggia un po’, sostenendo l’assalto con la protezione della spoglia del leone e allontanando con la lancia la bocca che lo incalza: il mostro impazza e invano dà morsi al duro ferro conficcando i denti nella punta; già il sangue velenoso aveva iniziato a sgorgare dal palato e aveva macchiato le verdi erbe con i suoi spruzzi: ma la ferita era in superficie, perché esso sfuggiva all’assalto e piegava indietro il collo offeso e ritirandosi impediva che il colpo venisse bene assestato e toglieva la possibilità che l’arma andasse più a fondo, finchè il figlio di Agenore non riuscì a conficcargli il ferro in gola e lo affondò incalzandolo senza tregua, sino a che una quercia si parò contro la bestia che indietreggiava, per cui la gola fu trafitta insieme al fusto”.
Nell’immagine del titolo: “Cadmo che uccide il drago” olio su tela, Hendrick Goltzius, fine XVI sec., Kolding Koldinghus Museum