Faremmo volentieri a meno di parlare del terremoto, a distanza di più di un anno dalla scossa che ha squinternato la provincia dell’Aquila,
se la necessità non fosse dettata da una evidenza chiarissima: questi tredici mesi non hanno portato al risanamento dei fabbricati di Sulmona, dove, si diceva, le cose non erano così drammatiche e gli interventi sarebbero stati più che altro manutentivi, così come è accaduto dopo il 1984.
Se non si ragiona con spirito di parte, si deve riconoscere che alla Protezione Civile del dopo-1984 è stato concesso un tempo ben più lungo di quello che si poteva immaginare, se è vero che alcuni finanziamenti sono stati erogati più di venti anni dopo le scosse del 7 e dell’11 maggio 1984. Ma il paragone non calza, perché quel terremoto non provocò i puntellamenti che vediamo per le strade del centro, addirittura al palazzo del Comune; quel quinto o sesto grado Mercalli fu una carezza rispetto a quello che è successo un anno fa.
Perciò, se le cose non sono ancora tornate al loro posto in un anno non si può farne carico a chi ha i suoi doveri di bene amministrare oggi.
Il fatto è che, fino ad oggi, non si vede l’alba del nuovo giorno della ricostruzione. Finora tutto il mondo del dopo terremoto è fatto di carta e di “bit” elettronici per la progettazione degli interventi: di tondini, calcestruzzo e chiodi da carpentiere neanche a parlare.
Né vale sostenere che, siccome la vera ricostruzione della città non è partita neppure a L’Aquila (perché le case finora costruite servono solo a dare un tetto “provvisorio” agli sfollati in località periferiche), i tempi per il “caso” Sulmona si possono allungare senza destare grandi scandali. In realtà, non c’è alcuna necessità tecnica di collegare le due ricostruzioni e, sotto il profilo amministrativo, gli uffici territoriali sono diversi, le persone degli amministratori sono diverse; per giunta, la differenza di impegno finanziario che le due ricostruzioni richiedono consentirebbe molto bene di pianificare una tempistica diversa, posto che, per esempio, dal centro di Sulmona non bisogna spostare milioni di tonnellate di macerie.
Si era parlato (e la legge lo prevede) degli interventi degli istituti di credito per anticipare le somme richieste per la esecuzione dei progetti. Ora le cronache informano che molte pratiche agli uffici del terremoto a Sulmona hanno conseguito un vaglio positivo e sono sostanzialmente “cantierabili” (come si dice in ambiti tecnici). Per altro verso, i tempi di presentazione di richieste, per la città dell’Aquila, sono trascorsi senza che sostanzialmente i proprietari di immobili abbiano proposto le loro istanze, tanto che sono stati poi prorogati e lo stesso sindaco del capoluogo ha detto al “Centro” (16 aprile) che si sente di poter fare “una piccola forzatura a una disposizione inderogabile dello Stato” nel prorogare i termini scaduti il 27 marzo che avrebbero comportato la cessazione di ogni forma di assistenza a carico degli inadempienti. Questo potrebbe essere segno che, prima di eseguire una ricostruzione, anche i privati vogliono avere le idee chiare sul futuro urbanistico della loro città.
Almeno tale problema a Sulmona non si pone, perché nessuno pensa di trasferire il Comune alle Marane o le scuole all’Arabona.
Eppure non abbiamo assistito alla posa della “prima catena” di un progetto di consolidamento.
Mentre le piogge abbondanti hanno incominciato a far marcire i legni dei puntellamenti, le pratiche si sono avviluppate nella interpretazione se fosse necessario il visto, il consenso, il silenzio-assenso del funzionario della Soprintendenza ai Beni monumentali o bastasse che questi non inarcasse il sopracciglio. Quindi si sono rincorsi i pareri e, ovviamente, “sarà fatta giurisprudenza”.