“NON MI AVRETE MAI” DI MARTOCCHIA TENTA UNA LETTURA ARDITA DELLA RELEGAZIONE
30 APRILE 2017 – Non è facile scrivere una autobiografia di Publio Ovidio Nasone dopo “Dio è nato in esilio” di Vintilia Horia.
Non è facile perché, viste le scarse notizie sulla parentesi finale della vita del poeta, immancabilmente sopperiscono le immaginazioni e le proiezioni emotive e culturali di chi si avventura in questo compito immenso e insostenibile di narrare Ovidio senza conoscere i suoi ultimi pensieri, i suoi ultimi atti, forse anche i suoi ultimi versi. E ognuno riempie i vuoti con la propria cultura, i suoi pensieri, le sue conoscenze sul tempo che fu quello di Ovidio. Vintilia Horia è finora insuperabile, perchè trasfonde il suo immenso sapere nella sua acuta capacità di esprimere una tragedia: quella di un esule, pechè lui stesso è stato esule.
Tuttavia il “Non mi avrete mai” di Giuseppe Martocchia è un paziente percorso sulla via della relegazione di Ovidio, con un appassionato sguardo alla Sulmona di adesso ed una improbabile conclusione, come sono tutte quelle dei gialli storici e spiritualistici, ad incominciare dal “Codice da Vinci” che sembra permeare in più punti il testo del professore del Liceo classico “Ovidio” prematuramente scomparso. Martocchia impegna molti personaggi di un arco di Storia e li chiama a rendere il proprio contributo nella descrizione di una male assoluto della umanità intera: quello di cercare la pietra filosofale, o almeno il… tesoro dei Daci, di Decebalo.
Ne scaturisce una galleria di attori che non assurgono al livello realmente sostenuto nel reale. Imperatori come Traiano, Adriano e Marcaurelio sono ridotti a comparse che non riescono a controllare gli eventi. Il più grande di loro sotto il profilo della magnificenza raggiunta dalla Romanità, il vincitore su Decebalo, è un uomo che percepisce anche in questo romanzo il senso del limite (come già nel best-seller della Yourcenar, “Memorie di Adriano”, altro ostacolo insormontabile per chi volesse ancora scrivere autobiografie di grandi della storia) lui che i limiti aveva esteso fino all’inverosimile, fino a dotare l’Urbe di un territorio che mai nessuno raggiungerà possedendolo realmente con le proprie leggi e le proprie legioni. Cosa c’entra Ovidio ? E’ un segmento anche lui: si avvia, consapevole del destino che segretamente l’editto di Augusto gli ha riservato, verso i Carpazi e la Transilvania, dopo aver lasciato Tomi, alle ricerca di un immenso tesoro che i Daci hanno tenuto nascosto e che esploderà nel XX secolo sotto gli occhi del prof. Rapagnetti, tranquillo, ma ambizioso docente del liceo classico Ovidio di Piazza XX Settembre. Esploderà perché, appunto, nessuno lo possa avere mai, dopo ricerche in biblioteche, interpretazioni di rebus e sciarade, omicidi e tradimenti; cioè dopo tutto quello che Milton racconta nel “Paradiso perduto”, se gli uomini, per raggiungere le viscere della Terra dotate di oro a profusione, si uccideranno dimenticando Dio. E scrivere dopo Milton è un altro bel guaio.
Giuseppe Martocchia, “Non mi avrete mai”, Riccardo Condò Editore, – Pineto 2008, pag.1-220, euro 16,00.
Nella immagine del titolo: Ercole lotta con Achiloo