LETTURE OVIDIANE – GIOVANE E INCORRUTTIBILE: BINOMIO ANCORA POSSIBILE

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L’ESALTAZIONE DI CHI NON GIUNGE A PATTI E AFFRONTA IL DESTINO: LA SIBILLA CUMANA E L’OFFERTA DI FEBO

25 APRILE 2014 – Per fare del facile sentimentalismo, basterebbe dire che un uomo che scrive versi così sublimi, che scrutano l’anima dei protagonisti, non avrebbe mai meritato la relegazione; ed avrebbe meritato, quanto meno, di rivedere Roma prima di morire.

E’ la Sibilla cumana che parla a Enea nel penultimo libro delle “Metamorfosi” di Publio Ovidio Nasone (nella immagine in coda a questo articolo: la Sibilla accompagna Enea a visitare il padre nel regno dei morti, in “Enea agli Inferi”, di Bruegel dei Velluti, cioè Bruegel il Vecchio, fine sec. XVI). L’eroe virgiliano ha incontrato la Sibilla e le ha chiesto di fargli vedere il padre Anchise ormai oltre l’Averno, nel regno dei morti ed è commosso, vorrebbe sdebitarsi: “Io non so se tu sia veramente una dea o soltanto carissima agli dei, ma per me sarai sempre un essere divino, e sempre ti sarò riconoscente per avermi permesso di scendere in questi luoghi della morte e di tornar fuori da questi luoghi dopo aver visto la morte. In cambio di questo favore, quando sarò di nuovo all’aperto sotto il cielo, ti erigerò un tempio, ti onorerò con incenso”. Dunque promette il massimo di quanto può promettere un uomo del destino, un uomo sul quale non hanno gravato solo le membra del vecchio padre durante l’incendio di Troia, ma grava ancora il futuro della città caput mundi, ancora da fondare.

“Tu non divinizzare un essere umano”

Nulla di questo fa inorgoglire la Sibilla che “sospirando dal profondo del petto risponde: “Io non sono una dea, e tu non onorare con sacro incenso un essere umano. Perchè l’ignoranza non t’induca in errore, sappi che luce eterna e senza fine mi sarebbe stata donata se la mia verginità si fosse schiusa a Febo, che mi amava. Febo, sperando in questo, cercando di corrompermi con doni, mi disse: “Esprimi, o vergine cumana, un desiderio, e il tuo desiderio sarà esaudito”. E io raccolsi un mucchietto di polvere e mostrandoglielo chiesi che, quanti granelli di polvere c’erano in quella manciata, tanti anni di vita mi fossero dati. Sciocca. Non mi venne a mente lì per lì di chiedere che fossero anche anni di gioventù. E tuttavia lui mi avrebbe concesso anche questo, una giovinezza perenne, se avessi ceduto alle sue voglie. Disprezzata l’offerta di Febo, eccomi qui, sempre nubile. Ma ormai l’età più bella ha voltato le spalle, e con tremulo passo avanza la penosa vecchiaia, che a lungo dovrò sopportare. E infatti, vedi, già sono vissuta sette secoli; per raggiungere il numero di granelli di polvere, ancora devo vedere trecento raccolti e trecento vendemmie. Verrà un giorno che la lunga esistenza mi renderà piccola, da grande che ero, e il mio corpo consunto dalla vecchiaia si ridurrà a un fuscello infinitesimale. Non si riuscirà più a immaginare che qualcuno abbia potuto amarmi e che si potuta piacere a un dio. E forse perfino Febo o non mi riconoscerà o negherà di avermi mai amata. Così mi ridurrò! Poi, diventerò completamente invisibile, ma che ci sono si capirà dalla voce. La voce, il destino me la lascerà”.

E di lei si è persa anche la voce

Ora sono trascorsi anche i trecento raccolti e le trecento vendemmie dal racconto dell’incontro della Sibilla con Enea; e se la Sibilla avesse chiesto di vivere non per il numero dei granelli di sabbia in una mano, ma per tutto il tempo raccolto nei granelli dell’altra mano, anche quegli anni sarebbero passati. E neanche più la voce della Sibilla si percepisce, neanche quel dono di quasi-eternità si è conservato, perchè nessuno la ascolta più, è cambiata anche la fede degli uomini in certi dei. 

Ma l’immagine di una donna che non si concede per non corrompersi forse rimarrà come esempio contro tutte le corruzioni. E poco prima, alla preghiera rivolta da Enea per vedere il padre, la Sibilla aveva risposto: “Grande cosa chiedi” enucleando tutte le difficoltà e la grandezza di una richiesta così straordinaria come quella di andare nel regno dei morti e poi lasciarlo per tornare nella terra dei vivi. Il messaggio della semi-dea cumana si conclude: “Nessuna via è preclusa alla virtù”. E premia la virtù di Enea. Attraverso quella, premia tutte le vere virtù, quelle che si conservano integre anche davanti alle offerte della corruzione. Giungerebbe anche a dire di non averla mai amata lo stesso Febo, ma lei non rimpiange di non essersi donata a lui, pur se questo le è costato vivere una vita per millenni fatta solo di vecchiaia e di “tremulo passo”, dopo una giovinezza durata lo spazio di un mattino.

Sul mito dell’eterna giovinezza e sulla saggezza nel non rincorrerla, v. “Una maga gentile e perfida” nella sezione OVIDIO di questo sito.

 

“Enea, la Sibilla e Caronte”, di Giuseppe Maria Crespi, lo Spagnuolo, circa 1695.
Enea_agli_Inferi_Bruegel_dei_Velluti_XVI_sec
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