SE NE VA VINCENZO ACCARDO, CHE CON LA VITA AVREBBE GIOCATO ANCORA

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GENEROSO ISPIRATORE DI MILLE INIZIATIVE E DISPENSATORE DI ENERGIE VITALI PER LA CITTA’

6 NOVEMBRE 2016 – Vincenzo Accardo, 75 anni, commerciante di gioielli e di arte, animatore di molte iniziative sociali e civiche, prima tra le quali la permanente “Mostra del costume abruzzese e molisano” nelle sale dell’Annunziata, Presidente della “Accademia degli Arditi” di origini settecentesche, si è spento nella notte.

La battaglia che Vincenzo Accardo aveva ingaggiato con la sua malattia sembrava quella del protagonista di un film di Robin Williams, pronto ad affrontare le sue inquietudini e mai disposto a fare un passo indietro all’incontro con i suoi mostri, secondo una spettacolarizzazione del male che è tanto cara al cinema americano, ma che serve comunque a rendere l’idea di come un uomo sappia conservare la sua dignità.

Gli anni, i mesi, le ore trascorrevano per lui con la fierezza di chi trova sia la cosa più naturale non chiedere conforto a nessuno, mai elevare un lamento, sebbene non respinga il contatto, la conversazione profonda, l’accenno ad un disagio che gli viene raccontato, immediatamente seguito dalla riflessione su come si possa superare.  Si poteva spingere, con garbo, a dare un consiglio, scartando la supponenza di trasmettere una verità. Non sarebbe stato un liberale se non si fosse comportato così. Ed è stato un liberale quando c’era il Partito Liberale: pronto a credere e a praticare una religione che non è inferiore a quelle che accalorano i popoli e fanno schiere di proseliti, e che su quelle religioni si eleva perché non impone mai un credo; lo suggerisce, lo sa emendare, non pretende che si debba per quello morire o far morire.

Aveva programmato di raccontare, in chiave quasi umoristica, il suo transito negli ospedali, già da diversi anni; ma aveva subordinato questo suo progetto ad una guarigione che dava sempre per certa, quasi fosse solo questione di tempo. Ed aveva approvato e sostenuto, con il suo sconfinato patrimonio di persona di cultura, l’idea e la pubblicazione del “Vaschione”, affascinato anche lui da un progetto così circoscritto nello spazio e perciò più autenticamente utile.

Intanto combatteva come un leone, faceva delle sue ultime ore un esempio per gli altri, perché con il servizio verso gli altri ha tracciato la sua impronta e ha delineato i confini del suo essere sociale. Ha segnato l’epoca dell’impegno politico e della presenza nelle istituzioni, ma anche della solidarietà e del “fare bene” nelle epoche d’oro del Rotary di Sulmona, quando il club era fatto di persone generose che, come il dott. Ezio Persia, prendevano il treno da Alfedena per partecipare ad una conviviale e, se perdevano il treno delle 22 per tornare, avevano accanto persone come Enzo Accardo che le riaccompagnavano “con una corsa in auto”; oppure, in ogni momento, nella loro generosità venivano contraccambiate da rotariani che, come Otello Pizzuti, sapevano a loro volta non tirarsi indietro e organizzavano conviviali in posti vicini a chi non poteva più muoversi. Sempre e comunque, senza fare un passo indietro davanti ad un piccolo o grande mostro, per affrontare con fierezza le cose che la vita manda a chi è vivo. Quasi una provocazione come il ballo in fa diesil di Angelo Branduardi, che alla fine invita a un giro di danza la Morte stessa perché del tempo non sia più Signora.

Proporre a Enzo Accardo il dilemma che affrontava Francesco Sardi de Letto nelle sue “Schegge di pensieri”, se, cioè sia meglio morire nel proprio letto tra le piaghe del decubito oppure tra le fiamme di un aereo che precipita, sarebbe stata una domanda retorica ad aviatori come lui, a quelli che, come racconta Francesco de Gregori, non sono “nati per invecchiare mai”. Peraltro, l’importante non è non invecchiare; l’importante è non invecchiare perdendo parte di se stessi, rinnegando gli anni delle energie migliori.

Si può vivere ed invecchiare a testa alta, senza mai fare un passo indietro. Tuttavia, saper affrontare con virilità il dolore, come ha fatto Enzo Accardo, non significa andare a cercarla, la morte, perché la voglia di autodistruzione non è patrimonio di chi, come il caro Enzo, nella vita avrebbe voluto restare e servirsene per dare vita agli altri, per spingerli, se necessario, anche durante i momenti peggiori. O anche solo per godere, della vita, sapendo che è innanzitutto, sempre, una benedizione; almeno fino a quando si è consapevoli di non voler arretrare mai, mai battere in ritirata. E questa consapevolezza l’ha accompagnato fino agli ultimi minuti.

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