SE OGNI CITTADINO PUO’ DIFENDERE OVIDIO

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IL TEMA DEL PROCESSO SULL’AGLIO IN TESTA AL POETA 

11 NOVEMBRE 2015 – La corona di aglio non può accompagnarsi alla testa di Ovidio (nella foto del titolo la conseguenza della incoronazione organizzata da Fabbricacultura nel dicembre scorso) e formare l’immagine per la promozione e la vendita, come se fosse una corona di alloro che si addice al capo di un poeta. E’ questo il tema proposto al Tribunale nel luglio scorso e che oggi si è arricchito di tutta la tematica sulla possibilità, da parte di singoli cittadini del luogo natale di Ovidio, di ottenere una tutela di urgenza dal giudice civile.

All’udienza davanti alla giudice dott.ssa Valeria Gioeli del Tribunale peligno sono stati esaminati tutti i percorsi attraversati dagli autori di diritto e dalla giurisprudenza negli ultimi decenni e, in particolare, la produzione torrenziale di contributi di autorevoli docenti e giudici costituzionali in ordine alla configurabilità dei “beni comuni”, diversi dai “beni collettivi”, dal demanio, dalla normativa sugli usi pubblici: durante la discussione si sono succeduti i riferimenti agli articoli e alle note di Rescigno, nel suo fondamentale “Trattato di Diritto privato”, Grossi, Marinelli, del giudice Pasquale Fimiani che sull’argomento ha scritto sul “Libro dell’anno del diritto” edito da Treccani.

E’ stata seguita una significativa traccia che partì da una prima intuizione di Massimo Severo Giannini nel 1963 e dall’approfondimento del prof. Vincenzo Cerulli-Irelli sul “Digesto”, nell’ultima edizione della sezione “amministrativa”. Tutto per confluire sul riconoscimento, a favore di ogni cittadino di Sulmona e quindi non solo dell’ente proprietario della statua, del diritto di tutelare l’immagine del poeta Ovidio come traspare dalla statua del Ferrari inaugurata dal Re d’Italia in Piazza XX Settembre, proprio perchè “bene comune” che legittima tutti ad invocare tutela. E’ stata richiesta, fra l’altro, l’audizione della dott.ssa Lucia Arbace, Direttrice del Polo museale d’Abruzzo, cioè della maggiore rappresentanza regionale del Ministero dei Beni Culturali.

Il giudice deciderà nei prossimi giorni.

Quello che lascia più perplessi in questa discussione è la ostinazione che caratterizza la tesi che vorrebbe un sostanziale restringimento delle tutele a favore dei cittadini per i beni della propria città, del proprio ambito culturale, delle “formazioni sociali” previste dalla Carta fondamentale uscita dall’Assemblea costituente. Le aperture della dottrina giuridica di questi decenni consentirebbero di applicare quel controllo delle singole persone che è garanzia di effettività della stessa partecipazione come caratteristica essenziale della Costituzione italiana.

Si tratta di spostare l’ambito della discrezione delle scelte da una classe politica inetta, che si sta arroccando su posizioni di assoluto arbitrio, nei bunker dei presidi istituzionali, ad una diffusa facoltà delle persone a rivolgersi alla magistratura. A un giudice non ci si rivolge per capriccio: altrimenti si pagano le spese e i risarcimenti dei danni per processi voluti con malafede. Dunque, provocare una decisione giudiziaria è segno di autonomia dalla classe politica; ma anche di prudente maturità. E il caso dell’aglio sulla testa di Ovidio è emblematico, perchè proprio il sindaco che avrebbe dovuto impedire la collocazione della “corona” sulla testa del Vate, era sostanzialmente presente alla carnevalata del dicembre scorso attraverso due vigili urbani, almeno stando alle fotografie che proprio le parti resistenti hanno depositato in tribunale.

Dunque, un Sulmonese che avrebbe voluto evitare lo scempio non si sarebbe potuto appellare all’autorità politica. Gli approdi della giurisprudenza della Corte di Cassazione, soprattutto la decisione delle Sezioni Unite del 2011, consentono di parlare della tutela dei “beni comuni” come di un profondo allargamento della piattaforma delle azioni consentite ai singoli. Un commento a questa sentenza sottolinea che “la Corte ha prospettato una ricostruzione della nozione di bene pubblico che, superando la classificazione tradizionale codicistica e, al contempo, spezzando il binomio tra appartenenza e destinazioine del bene, appare essenzialmente fondata sulla “funzionalizzazione” dei beni ai bisogni e agli interessi della collettività. In tal modo, si è inserita nel vivace dibattito che, con sempre maggiore intensità, ruota intorno alla categoria dei “beni comuni”, nel tentativo di legittimare uno statuto giuridico di tali beni, che si collocano al di là della stretta dicotomia pubblico/privato”.

La decisione delle Sezioni Unite non lascia sospeso il cammino avviato dalla commissione parlamentare presieduta dal prof. Stefano Rodotà nel 2007, che articolava il nuovo ruolo delle persone rispetto agli enti. Lo ha recepito concretamente e non a caso il prof. Grossi, giudice costituzionale (circostanza forse significativa: insignito del Premio Capograssi) che tre anni fa, rivolgendosi a giovani magistati in un convegno per la formazione, indicava quella decisione come la chiave di volta del contributo che avrebbero potuto fornire i giudici nel cammino della tutela dei beni artistici, archeologici, storici e ambientali.

E Ovidio potrebbe approvare l’opera degli avvocati, proprio lui che affermava come fosse “turpe usare l’oratoria per difendere in tribunale“.

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