Terremoto e manette

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Se le prime manette tutte abruzzesi del dopo-terremoto sono scattate per un presunto incarico da un milione e mezzo di euro, si può immaginare cosa sarà accaduto o cosa accadrà per i lavori che dovranno riguardare tutta la città dell’Aquila. La somma che avrebbe spinto a qualche regalìa di troppo è decisamente pulviscolare e, ciò nonostante, quell’un per cento in diamanti è all’esame della magistratura. Ad essere precisi, con un milione e mezzo di euro si aggiusta sì e no un “aggregato”, cioè uno dei moduli che progettualmente distinguono gli interventi dei prossimi anni in tutta la città dell’Aquila.

Allora occorre guardare con realismo a questo dopo-terremoto, che si presenta molto più insidioso di quello dell’Irpinia di trent’anni fa. Pensare che ci possa essere il controllo della magistratura su ogni singolo progetto è il contrario del realismo: perché non ci sono i mezzi, perché non ci sono gli uomini. E perché, soprattutto, in nessuna società che voglia progredire e funzionare si può immaginare che la magistratura (intendendo con questa formula il pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari, il collegio del dibattimento in primo grado, in secondo grado e in cassazione) debba rivedere uno ad uno i fogli di ogni singola pratica amministrativa. Se questo è accaduto, in alcuni frangenti, per la patologia che ha invaso la pubblica amministrazione in Italia, al Nord come al Sud, non legittima a pensare che possa assurgere a sistema: perché costa troppo, perché intralcia anche il lavoro degli onesti e perché alla fine inietta il veleno del sospetto su ogni singola iniziativa. Cioè porta all’immobilismo. L’azione del magistrato penale, allora, non può che costituire il monito per tutti coloro che hanno a che fare con il denaro pubblico, cioè con quel vaso di miele che fa affollare torme di golosi. Per essere credibile, un monito deve arrivare subito e deve rivestire il ruolo essenziale della autorevolezza, quindi non può disperdersi in rivoli e, soprattutto, non può disperdersi in anni di inchieste. I disastri determinati dalla strana classificazione dell’Aquila come città moderatamente sismica (seconda categoria della legge del  1962) non si sono potuti rimediare prima della notte del 6 aprile 2009;  i disastri che socialmente si potrebbero determinare dall’arrembaggio nella ricostruzione sono molto più gravi, perché paradossalmente incrementerebbero una industria basata sulla sciagura e consentirebbero benefici a quelli che sanno muoversi prima e con argomenti più “convincenti”. Quanti validi professionisti già in questi mesi (che costituiscono solo l’alba della ricostruzione) sono tenuti da parte nella progettazione, oppure non sanno neanche come proporsi ?

In un contesto del genere, nel quale le alleanze e le spartizioni si concludono nei tempi e nelle forme più efficaci, si può ragionevolmente pensare che gli inquirenti debbano fare a meno delle intercettazioni, telefoniche o ambientali che siano? E quale monito può derivare dalla attività di investigatori alla Sherlok Holmes, in un panorama di “progetti aggregati” per miliardi di euro, per ognuno dei quali il politico si potrebbe accontentare (questione di gusti) dell’uno o del cinque per cento?

Che si sentano controllati quelli che hanno in animo queste nefandezze; che pensano, per il futuro, di mortificare il lavoro e la professionalità di altri tecnici e di altre imprese; che contano di sistemare nei posti-chiave i propri esecutori più fedeli; tutto questo, sinceramente, non è la maggiore preoccupazione per la tutela delle libertà costituzionali. Prima che si configuri in Abruzzo un sistema di potere come quello che per l’Irpinia si costituì in Campania, ci sembra che si ravvisino altre emergenze, alle quali solo una magistratura non depotenziata può fornire una risposta che sia, come tutte le risposte della giustizia seria, un monito. Altrimenti, quando queste devianze avranno incrementato i nuovi poteri, sarà tutta l’economia abruzzese a sottostare alle nuove logiche; e questo, davvero, non è un problema solo degli aquilani, come non avrebbe dovuto esserlo l’imbroglio delle classificazioni sismiche, dati i costi che ha portato all’Italia.

Nella foto del titolo il palazzo municipale di Sulmona

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