IN QUELLA DI ATTEONE C’E’ LA SVENTURA DI OVIDIO

1821

“PERCHE’ VIDI? PERCHE’ RESI COLPEVOLI I MIEI OCCHI?”

26 AGOSTO 2017 – A un anno dall’allestimento di “Tempeste”, il gruppo teatrale “O Thiasos” è tornato, con Sista Bramini e Camilla Dell’Agnola, a rappresentare Ovidio, con un episodio delle Metamorfosi: quello di Atteone e Diana e lo ha fatto ieri (nella foto) nell’ambiente naturale dei cervi, a Villetta Barrea, all’aperto, nel verde che richiama le descrizioni dal Vate sulmonese.

Quella di Atteone non è la favola bella del giovane bello che corona il suo desiderio d’amore con una divina creatura. E’ la storia di chi ha visto quello che non doveva vedere e che subisce una trasformazione pur non essendo reo di nulla se non del suo spirito di avventura. Vigoroso e generoso, Atteone interrompe una fruttuosa battuta di caccia per inoltrarsi in un bosco, dove scorge Diana, dea della caccia (e dunque, dea del suo stile di vita). Ma il caso vuole che Diana sia senza veli e una immagine così non può rimanere impressa negli occhi di altri che non fosse una sua ninfa, né tanto meno essere raccontata. “Ora vai a raccontare di aver visto Diana nuda”, lo sfida la dea e da lì incomincia una trasformazione che porterà Atteone a diventare cervo e ad essere sbranato dai suoi stessi cani, che Ovidio indica nome per nome, peritandosi di raccontare anche da dove provengono quegli esemplari di razza pura. E i compagni, che lo hanno perso di vista nel bosco, chiamano il generoso e fulgido comandante della battuta perché non si perda lo spettacolo del più bel cervo catturato in tutte le giornate di ricerche. E lui “vorrebbe certo non esserci, ma c’è; e vorrebbe assistere, non anche sentire la ferocia dei suoi cani”. Ancora si avverte il tratto pittorico di Ovidio, che rappresenta uno stato d’animo, quasi partecipa dalla parte della vittima. “I cani da tutte le parti attorniano e straziano, affondandogli il muso nelle carni, il padrone dalla falsa figura di cervo. E a quanto si dice, l’ira di Diana che porta la faretra non fu sazia che quando, per le moltissime ferite, gli finì la vita”.

L’episodio di Atteone non è uno qualsiasi delle centinaia raccontati nelle “Mutate forme” del sulmonese. Fa parte di quelli che ci aiutano a capire il destino di Ovidio; diremmo che è Ovidio che ci parla, attraverso la sventura di Atteone, della sua sventura, perché testualmente lo riporta nei “Tristia” dalla relegazione nel Ponto Eusino: “Perché vidi? Perché resi colpevoli i miei occhi? Perché dalla mia imprudenza fu conosciuta una colpa? Ignaro Atteone vide Diana senza le vesti; ed egli nondimeno fu preda dei suoi cani; per i Celesti dunque anche la disavventura deve essere espiata e quando è offeso un nume non ha perdono nemmeno il caso”.

Sta in questi versi tutto quello che Ovidio poteva dire del suo “error”; ed è molto, quasi tutto, se non si vuol scendere proprio alla narrazione della cronaca. Il “nume” è proprio Augusto che ha firmato il decreto della relegazione; il “caso” è qualcosa che Ovidio non poteva evitare, ma già solo il fatto di essersi trovato in alcune circostanze di tempo e di luogo segna la sua colpa. Ed è questo icastico riferimento all’episodio di Atteone la chiave di lettura che conferma come nelle trasformazioni non si ha riguardo solo ai crimini commessi dai trasformati, quanto piuttosto è sufficiente che essi esistano e facciano parte della natura che tutto travolge nel suo divenire.

Please follow and like us: