Liceo: così si cancella un mondo

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Ad accorgersi di una scuola che chiude sono in pochi: giusto i baristi, l’edicolante (ma neanche tanto, vista la disaffezione per i quotidiani), quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino (come direbbe De Andrè). Piazza XX Settembre si animava solo alle 8 e mezzo e alle 12 e 30 o 13,15, secondo le classi che uscivano.

Per il resto, la vita della città non dipendeva dal Liceo Classico Ovidio: dentro potevano esplodere i drammi peggiori per i voti messi a freddo e senza ammettere giustificazioni, oppure sprigionarsi le isterie più sconvolgenti tra le ragazze sottoposte alle tempeste ormonali di una crescita inattesa. Il cinismo di qualche professore poteva raggiungere vette siderali, come quando l’aristocratico professore domandò ad una fascinosa e timida sedicenne che non era stata proprio trascinante nella esposizione: “Non vorrà mica essere la brutta copia di sua sorella?”, ustionante domanda che marchiava per mesi la malcapitata, non tanto per la valutazione negativa sulla sua preparazione (che già bastava a mandarla in depressione per il resto dell’anno scolastico), quanto per il paragone familiare che forse pedagogicamente era peggiore di una atomica. Eppoi quel dare del “lei”… Segno di grande professionalità, ma provocava un gelo peggiore di quello per il quale si faceva sciopero entro la prima settimana di ogni anno scolastico, in modo che il preside potesse rappresentare alle superiori autorità la carenza di nafta e venissero stanziati capitoletti di bilancio straordinari.

Tutto accadeva dentro: fuori neanche un segno. E neanche una aspettativa, se non nelle giornate incandescenti degli esami, quando ad aspettare i figli di papà c’erano i… papà dei figli, qualche capannello di genitori inadeguati, calati goffamente nel ruolo degli esaminati, e adoranti al punto da perdere finanche la funzione di confortare dall’alto, con autorità e con migliori risultati per l’indebolita psiche dei veri esaminati. C’erano anche gli amici veri, di altre età degli esaminati, più esperti della vita e più relativisti, che chiedevano, senza ossessioni e apprensioni: “Tutto a posto? Pure quello dei passeri, vero ?…”, come si diceva goliardicamente sulla scia dell’”in bocca al lupo” o in altre zone anatomiche della balena.

Ma, più di questo, una scuola, pur importante, non dà, all’esterno.

E quindi si vede poco la differenza per questa tristissima, forse definitiva chiusura del Liceo classico di Sulmona, che si era assottigliato negli ultimi decenni, ma che aveva ripreso adepti cammin facendo, non solo perchè, come si dice, i classici non tramontano mai (chè questa è retorica), quanto perchè la “scuola migliore” suscita sempre curiosità, o almeno l’ipotesi di realizzazione di un sogno, un credere nelle proprie risorse, un dire: “Lo so fare anch’io”.

Per questo vorremmo che su questo giornale si lanciassero appelli perchè il dissennato progetto di non riaprire più il Liceo a Piazza XX Settembre venga revocato. Lo chiediamo a quelli che stanno a Sulmona, ma anche nel mondo, perchè sono in molti ad aver studiato lì e a dover poi essere partiti per tutti i continenti. Speriamo che si realizzi una catena di opinioni, di idee che, meglio di quanto possa dire un giornale da solo, dicano perchè una scuola deve stare nel cuore della città, vicino alla statua di Ovidio e lungo il Corso che è la vera, unica passerella, metafora della vita e campionario delle psicologie di tutto un universo.

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