SBIC SI PROPONE PER UN ASSESSORATO ALL’AGRICOLTURA, MA…
8 APRILE 2016 – Il consigliere uscente di “Sulmona Bene in comune”, Lucci si propone come assessore all’agricoltura per la prossima giunta: è un incarico da inventare, ma si attaglia benissimo ad una città che non deve dimenticare il suo contatto diretto con la terra e con le piccole e grandi ricchezze provenienti dalla coltivazione. Lo ha annunciato in un incontro tenuto a Palazzo Sardi, nel quale “Sbic” ha offerto la zuppa del contadino ed un bicchiere di vino, prima di lasciar parlare delle tematiche che il Comune potrebbe risolvere nel prossimo quinquennio.
Del resto, se esiste un assessore alla nettezza urbana in una città che in circa tre anni non ha completato la rete per la raccolta di rifiuti differenziati avviata dalla giunta precedente, perché non dovrebbe starci un assessore all’agricoltura in una città che ha il raro pregio di conservare ettari di fertile terra nel suo territorio ad ovest della cinta muraria, davvero ad un tiro di schioppo dalla cinta muraria?
Se esiste un assessore alla cultura che non ha saputo prendere in mano le redini della organizzazione del Bimillenario della morte di Ovidio, lasciando tutto all’approssimazione di gruppi e associazioni dai contorni sempre molto sfumati e indecifrabili, tra l’asservimento alle campagne commerciali e il perseguimento di scopi meramente mediatici, perché non dovrebbe esserci un assessore all’agricoltura che potrebbe quanto meno proteggere questo territorio rurale dagli assalti speculativi di capannoni e scempiaggini a colpi di FAS?
E, da ultimo, se esiste un assessore all’urbanistica che non ha saputo recuperare neppure uno dei mille vani disabitati del centro storico, perché Lucci non potrebbe essere assessore per una agricoltura che non vuole assecondare la rapina del territorio ancora bucolico lungo il torrente Gizio, parte delle Cavate, l’Arabona?
Solo che Lucci si deve liberare prima di tutto lui dagli agganci con il mondo dell’apparenza e della finta valorizzazione del territorio che cerca di avvinghiarlo e dal quale la sua buonafede e la sua simpatia sono sideralmente distanti: se, come è vero, dopo aver portato i caciocavalli dentro l’Abbazia celestiniana, si accinge a portarci pure le pecore, deve sapere che una Sulmona non snobistica, ma scrupolosa di conservare le opportunità del turismo di qualità, non potrà votarlo e tanto meno portarlo in giunta.
Bisogna coltivarlo il consenso, come un tralcio di vite.
Anche noi, per riprendere De Andrè, vorremmo che l’aula di Palazzo San Francesco rifulgesse di lucci argentati e non più dei cadaveri dei soldati, residui della guerra di bande che insanguina la città.