L’UOMO CHE NON VOLLE PAGARE L’IMPOSTA SUI SOGNI. DIECI ANNI DALLA SCOMPARSA DEL SEN. CELIDONIO

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AVVENTURE E DISAVVENTURE DEL SEN. CELIDONIO, IRRIDUCIBILE REALIZZATORE

Nella piccola Chiesa di San Filippo Neri è stata celebrata la Messa del decennale dalla scomparsa dell’avvocato e senatore Michele Celidonio, titolare di una impresa di viaggi, noto in tutto l’Abruzzo per le molteplici iniziative economiche, ispiratore di proposte di legge per il Centro-Abruzzo e realizzatore del complesso turistico di Passo San Leonardo, nel Comune di Pacentro, alle pendici del Monte Amaro.

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Aveva ricevuto delle ingiunzioni di pagamento per la imposta di consumo sui materiali usati per costruire l’albergo di Passo San Leonardo e Michele Celidonio, avvocato e senatore della Repubblica, non poteva sopportare l’idea che chi, come lui, aveva avuto una intuizione pionieristica fosse costretto a pagare un balzello a favore del Governo che, semmai, i pionieri avrebbe dovuto ricompensare. “Sarebbe come se a Cristoforo Colombo avessero chiesto la tassa di sbarco” disse orgoglioso e volle continuare nella contesa giudiziaria, cambiando avvocato, per una questione di principio, una delle tante delle quali era costellata la sua vita avventurosa, trascorsa sempre a testa alta anche nei passaggi più perigliosi. Alla fine, il Tribunale dovette riconoscergli la ragione e annullò tutti gli accertamenti di un esoso sistema di tributi, macchina idrovora anche per le iniziative più animose. La storia, compresa quella delle persone singole, non si può fare con i “se”, ma ognuno può immaginare quello che sarebbe stato Passo San Leonardo se tanti altri avessero seguito quell’esempio di ardita costruzione di alberghi e impianti di risalita. Beninteso, “niente di paragonabile a Roccaraso o a Rivisondoli” dicono i più realisti. In fondo, l’orografia del Passo è la causa prima delle insidie, dalle troppo abbondanti nevicate al vento forte e fastidioso. 

Ogni giorno era una preghiera affinchè gli assedi tormentosi delle nuvole e della neve non spezzassero la giornata alle due del pomeriggio, nel giro di qualche minuto dall’ultima spera di sole tiepido. Era, sì, affascinante quell’albergo rotondo e placidamente piazzato tra il Monte Morrone e la Majella madre, ma non sembrava adatto al turismo dei grandi numeri e delle “comodose” gite della domenica dei pescaresi e dei pugliesi. L’ostilità della zona non cessò di dare continue conferme ai più scettici, pure in seguito, quando già la fortuna aveva voltato le spalle al pioniere ardimentoso. Il massimo si raggiunse in un banale pomeriggio di inverno. Anche quella giornata era incominciata benissimo, con un sole splendente e con la neve incontaminata sulle piste ancora da battere. Ma poco dopo mezzogiorno qualche nuvola cominciò a risalire da Sant’Eufemia per collegarsi con quelle della piana di Palena. Nel volgere di una quindicina di minuti non si vedeva a dieci metri: bastarono altri cinque minuti che già la bufera imperversava. In poco più di un’ora la strada era intransitabile. All’ora del tè sembrava la Siberia. L’albergo era stracolmo e il comandante dei Carabinieri di Sulmona decise di garantire il trasporto di tutti gli ospiti che volevano andarsene. Bel gesto, indubbiamente, ma quello era Passo San Leonardo e di lì a poco si bloccarono nella tormenta una dopo l’altra le jeep e i camioncini, fino a notte tarda, quando arrivarono i rinforzi.

Contro questa realtà si dovevano infrangere i sogni di un pioniere che, se anche avesse pagato la tassa di sbarco, non avrebbe potuto cambiare la natura di quel Passo aspro.

“Passo”; era la parola che al pokerista avrebbe potuto suggerire una scelta prudente e attendista, soprattutto nel momento di maggior soddisfazione, quando al bilancio di una vita prospera si aggiungeva un risultato sorprendente nella competizione politica. Fu in una giornata di fine primavera che arrivò l’inattesa notizia della elezione al Senato, forse anche per una combinazione di fortunate occasioni: una volta tanto il quoziente legato alla popolazione non era stato decisivo per Sulmona e il seggio fu occupato, dal 1968 al 1972, proprio dall’avv. Michele Celidonio. Si sentiva un leone pensando a quello che avrebbe potuto fare per la sua Sulmona. Cominciava per lui il settennato di fortuna, che, come ci confessò, si alternava al settennato di avversità, così per tutta la vita. Intraprese a macinare interrogazioni e interpellanze: dai collegamenti ferroviari e autostradali all’indagine sugli armamenti che erano conservati sotto il Colle San Cosimo, alla incipiente industrializzazione che provocava più problemi sociali di quanti non ne risolvesse. Tirava per la giacca tutti i ministri che potevano servire alla causa peligna.

Forse dimenticò troppo i suoi affari. Ma questo dimostra soltanto che anche nella Prima Repubblica si poteva essere politici puliti: roba da meritare una lapide, se la sua città non fosse stata rosa dalla solita invidia, dai distinguo sofistici, dalla propensione antica allo sgambetto.

Tuttavia, a chi ha conosciuto l’avv. Michele Celidonio solo molto dopo il 1972 non si è manifestata nessuna asprezza d’animo e neanche la rabbia per i giudizi ingenerosi di chi tutto sa  e sa insegnare (a posteriori). C’era un tratto molto fatalista che emergeva nei suoi colloqui: non era rassegnazione, perché lo spirito fiero seguitò a trasparire anche nel momento dell’abbandono del “bel mondo”. Bastava poco per corroborare la verve del pioniere contrastato dalla dea bendata: Sulmona era nel suo cuore anche per le piccole cose, come la collocazione di un altro campanone all’Annunziata, quello che avrebbe annunciato, come in effetti annuncia pure adesso il Natale ai sulmonesi, dal 24 novembre di ogni anno e per ogni giorno fino alla vigilia; e, vista la potenza dei rintocchi, agli abitanti dei paesi vicini.

“Sì, ho avuto grandi possibilità, anche se non è vero che sia stato padrone di navi” disse per precisare quello che gli esagerati fantasticavano. La saggezza che emanava stava tutta nella critica serena alla sua vita, nel bene e nel male: bilancio che prima o poi deve quadrare e non può essere solo la carrellata di vittorie. Se la parola “Passo” per lui avesse evocato solo una tattica attendista del giocatore di poker e non il tratto di territorio tra due montagne adorate dove costruire piste e camere di albergo, chiesa e nuove strade, non sarebbe stato un pioniere e avrebbe dovuto pagare, come tutti i comuni mortali, quella imposta di consumo sui materiali usati per costruire i suoi sogni.

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