LETTURA DELLE METAMORFOSI TRADOTTE DA VITTORIO SERMONTI
2 LUGLIO 2014 – Atmosfera storica ieri in Piazza del Campidoglio a Roma, dove Vittorio Sermonti ha accompagnato il ritorno di Ovidio, con la lettura di alcuni episodi tratti dalla recentissima traduzione che lui stesso ha curato delle “Metamorfosi” (v. “Amare il padre così è delitto peggiore di odiarlo” e “E Augusto proroga l’esilio” nella sezione OVIDIO di questo sito).
Bisognerebbe stare nell’animo di Ovidio e bisognerebbe leggere quello che avrebbe scritto risalendo le scale del Campidoglio duemila anni dopo.
Le gambe non erano le sue. Poco importa, visto che lo spirito è quello che conta.
Lo ha accompagnato, nella tensione di una serata all’aperto e a contatto con gli stessi luoghi amati dal poeta, Vittorio Sermonti che, con una lingua sconosciuta a Publio Ovidio Nasone (è il dazio che si paga per trasportare le sue Metamorfosi al terzo millennio, ha letto gli esametri appena tradotti, ancora una volta proposti per partecipare il gioco delle trasformazioni ai molti che non conoscono il latino. Nella serata del “Festival delle letterature”, alle 21, a un passo dalla pietra nera e dalla tomba del più grande condottiero di tutti i tempi, ha narrato gli episodi di Mirra e di Ceice e Alcione.
Ha letto per gli adolescenti di… tutte le età, dopo aver tradotto le “Metamorfosi” in un ideale colloquio con i giovani. Ma è adolescente, sotto il profilo letterario, anche chi si appresta a crescere e a stabilizzarsi nel suo bagaglio culturale, cioè chi non smette di leggere, di domandare, di confrontare. Ottima occasione di confronto è anche questa ultima traduzione del capolavoro di Ovidio, dopo le tante che si sono succedute nei venti secoli. Sermonti, in una intervista al Corriere della Sera di ieri, ha detto che “Uno degli aspetti straordinari dell’opera di Ovidio è il nesso narrativo tra un episodio e l’altro, magari anche piccolissimi, ma tutti di una travolgente bellezza che continua a turbarmi. Quasi sempre si trovano insieme elementi di tragicità, di macabro, di ridicolo, di violenza d’amore e infine di estrema tenerezza”.
Dunque Ovidio risale le scale del Campidoglio: non lo fanno le sue ossa, non il suo stilo, ma quei libri che l’hanno tramandato, quelli dei quali ricordava pure il posto nella sua biblioteca invitando altri piccoli volumi (scritti a Tomi) ad avvicinarli e a non nascondere la propria paternità, per quanto fosse difficile presentarsi al centro dell’Impero con un nome così difficile.
Sulla traduzione delle Metamorfosi, di Vittorio Sermonti, v. “Invito al gioco, si tratta solo di trasformarsi“