SE SI TRATTA DI FARE MEGLIO DI FRANCO IEZZI
I OTTOBRE 2017 – Mancano dieci giorni all’alba: l’11 ottobre decadrà dalla presidenza del Parco Nazionale della Majella Franco Iezzi.
Adesso impegna il suo tempo e quello dei giornalisti che hanno ancora la pazienza di seguirlo a sciorinare dati sulla sua gestione, sul livello raggiunto dai tecnici del Parco, sul fatto che c’è qualcuno che, sì, potrebbe essere candidato a succedergli, ma sono politici; lui, invece, è sempre il manager prestato alla politica e quindi ha uno sguardo di insieme che altri non hanno. Tanto d’insieme che se non ha i droni non riesce a capire da dove viene il fuoco del Monte Morrone; tanto d’insieme che quando gli è stato proposto di raggruppare a Sulmona le sedi dei tre parchi nazionali d’Abruzzo (e il Presidente del Parco di Pescasseroli, Carrara, si è detto disponibilissimo, se non addirittura entusiasta) ha lasciato cadere gelidamente l’idea (partita proprio da uno, come Giuseppe Rossi, ex commissario e poi presidente del Parco Nazionale d’Abruzzo, non rischiava certo di essere definito campanilista). Un politico che avesse avuto a cuore le sorti del centro-Abruzzo e quelle della salvaguardia della natura con la concentrazione di sinergie, magari avrebbe fatto di tutto perché l’idea di Rossi si concretizzasse, tanto più che Sulmona ha una tale centralità rispetto ai Parchi della Majella, d’Abruzzo e del Gran Sasso che nessuno avrebbe potuto sostenere che la sede per tutti e tre sarebbe toccata ad una qualsiasi altra città d’Abruzzo.
Insistendo nella serie “dopo di me il diluvio”, Iezzi, nell’incontro al quale invitava i passanti di Via Angeloni per fare numero, ha anche contato i pretendenti al suo posto: ventotto. Ed è tanto che non abbia aggiunto che tutti e ventotto insieme non raggiungono le sue vette. Non lo invidiamo, perché se le sue notti sono fatte di incubi alla ricerca di chi possa scalzarlo, non è un bel vivere. C’è poi il rischio che qualcuno gli ricordi, di giorno, i suoi, diciamo così, insuccessi (e questo giornale non fa altro, quando deve presentarlo ai lettori); ma soprattutto c’è la concreta possibilità che se qualcuno si avventura a parlare di temi naturalistici e magari sostiene che sul Morrone vada ripiantata la roverella invece del salice, potrebbe essere scambiato per il ventinovesimo pretendente; e se poi un altro dovesse sussurrare che qualche pianta da frutto per sfamare gli orsi potrebbe essere collocata sotto Campo di Giove, saremmo a trenta. Trentunesimo candidato presidente diventerebbe che volesse sostenere che occorrono più lupi per sconfiggere i cinghiali. Chiunque avesse suggerimenti per la presidenza, agli occhi di Iezzi diventerebbe un presidente in pectore.
Non è più semplice rendersi conto che tutte queste idee avrebbero potuto essere segmenti di un programma che una persona capace di fare il commissario e poi il presidente doveva assemblare per presentarsi con un bilancio che non fosse una montagna intera bruciata? E di fronte a una catastrofe del genere, non sarebbero stati ventimila (e non ventotto) i candidati presidenti nella sola città di Sulmona a poter essere preferiti?