ESCE “IL PRINCIPE AZZURRO” DI DIEGO CUGIA, CON SPUNTI FANTASIOSI E REALTA’ ROMANTICHE
15 MARZO 2025 – Per rendere più digeribile la Storia, alcuni scrittori narrano varie storie. E nel raccontare la vita di alcuni personaggi immersi nel romanticismo, espulsi dal teatro del divenire in modo ingiusto, la tentazione di arricchire i romanzi con digressioni fantasiose è più forte; talvolta meglio premiata dall’interesse dei lettori, che leggono avidamente perché le fiabe sono quasi sempre belle e a lieto fine anche se parlano di morte.
Diego Cugia, con il suo “Il Principe Azzurro”, uscito per “Giunti” due settimane fa (nella foto del titolo), professa il suo intento di non scalare la Storia e di fermarsi alle alture dove meglio si pascolano le profumate erbe del romanzo. Così immette molto delle digressioni che gli storici si guardano bene dal solo pensare. E’ un modo come un altro di accrescere il mito e di disegnarlo più adatto alla sensibilità del momento nel quale l’autore scrive e il lettore gode.
Corradino di Svevia, appunto il principe dagli occhi immensi e dall’intelletto educato a diventare quello di un imperatore, non aveva bisogno di aure di romanticismo, tale la sua Storia è stata ricca di cuore e di impeto, di onore e di dignità morale, piccolo Mozart del grande affresco dell’Europa, al quale fu negata l’adolescenza. Questi miti si accrescono mentre i loro protagonisti precipitano per le spinte di una gravità impietosa: quella dei vincitori che li calano dalle vette del loro destino come valanghe immense, ma tutte fatte di sostanza purissima. Valanghe e miti non cambieranno niente del paesaggio: anche gli alberi maestosi ricresceranno dopo qualche primavera. Ma gli uomini e le donne dei millenni successivi canteranno ancora i miti, nelle loro più belle creazioni artistiche, prima di tutto nelle poesie.
Il Corradino di Cugia sa muoversi nel Medioevo che era proprio quello dei secoli bui, perché veniva da un’età dell’oro solo in parte realizzata dal nonno, Federico II: il Medioevo dell’incontro felice tra cristianesimo e islamismo. E quindi Corradino è dotto per le lezioni cui si sottopone senza alternative nel castello della Baviera dal quale scenderà a Tagliacozzo (rectius: Scurcola Marsicana) per sottrarre l’Italia agli angioini. E’ saggio per la frequentazione con il maestro d’armi Yesuf che secondo Cugia ricevette dal Federico morente l’incarico di addestrarlo. E’ triste per l’abbandono della madre che sostituisce un uomo qualsiasi al suo mito di bambino, il padre Corrado IV. E’ eccessivo nei giochi carnascialeschi del suo breve soggiorno romano fatti di travestimenti e burle indecenti, come il Mozart di Forman.
Anche Sulmona recita il suo ruolo nella vicenda del Principe Azzurro e, più in particolare, del suo destino. Corradino si incammina lungo la Tiburtina Valeria per raggiungere la città sveva più grande fra tutte quelle dell’Abruzzo che doveva percorrere per evitare la Napoli di Carlo d’Angiò e ricongiungersi a Yesuf che è andato a prendere a Lucera guarnigioni di fedelissimi arabi. Erano questi guerrieri pronti e battersi fino alla morte e oltre, una volta divenuti fantasmi a scuotere le coscienze dei francesi adusi agli imbrogli e vincitori dei Campi Palentini con il vile stratagemma di vestire un cavaliere qualsiasi, somigliante all’angioino e ammantato delle insegne del suo re. Lo lanciano verso la morte e intrappolano i nemici nelle dissolutezze di una vittoria effimera, solo creduta, quando già le sorti della battaglia segnavano il trionfo dell’aquila sveva.
Gli occhi celesti del sedicenne Corradino non vedranno mai l’acquedotto sulmonese voluto dallo zio Manfredi, le belle dimore delle famiglie fedeli agli Hohenstaufen, tutte allineate lungo la strada consolare, compresa quella ove troneggiava l’affresco di “Sovrano svevo” oggi conservato, bellissimo, nel museo civico (nella foto).

Dopo il trionfo dell’ingresso a Verona e l’accoglienza dei Della Scala; dopo l’adesione di Siena ricchissima, alla quale Manfredi aveva fornito l’apporto decisivo di soldati per la battaglia di Montaperti contro Firenze, raggiunta per un soffio; dopo la fantasiosa e fantastica promessa di amore eterno e di matrimonio con Fiammetta dei Frangipane accanto al Monte Citorio e al Tevere allora ancora biondo come i suoi folti capelli, Corradino non si ricongiungerà per lo scontro campale nella Valle dei peligni. La Tiburtina per lui finisce alla… Scurcola.
Ritornerà a Roma, ma Cugia immagina un’altra sosta, di Corradino e del cugino Federico d’Austria, di soli tre anni più grande di lui. Sfiniti dall’inferno e dal lungo andare, si riposeranno in una terra che sembrava di nessuno, dove Corradino inciampa nei resti di una statua del dio Amon. Lo riconosce e pulisce il busto dal fango, per risvegliarsi alle prime luci dell’alba accorgendosi di aver dormito in un posto meraviglioso, ma abbandonato da secoli: il Canopo della Villa di Adriano a Tivoli, dove ha trascorso una notte somigliante a quella di un imperatore.
Se…
Se il piccolo esercito del sedicenne imperatore non si fosse esaltato alla vittoria; se Corradino avesse raggiunto Sulmona e, dopo la sicura vittoria in terra peligna, avesse eletto Sulmona a capitale del suo regno peninsulare in luogo dell’angioina Napoli. E se, quindi, la città di Ovidio fosse rimasta sottoposta solo alla Palermo scelta dal nonno e dominatrice assoluta dell’incontro di civiltà…
Ma con i se non si fa la Storia. Si fanno tante storie.
Il Presidente Sergio Mattarella è stato sei anni fa sui Campi Palentini, perché lì si è avverata la Storia che ha cambiato l’Europa. E sul destriero di Corradino correva la Storia che attendeva Sulmona.