LE PROPOSTE DEL “DON GIOVANNI” E LA RIFLESSIONE DEGLI AUTORI
15 LUGLIO 2017 – Gelosia, ambizione, inganno, cupidigia: sono soltanto alcuni degli ingredienti dell’Opera,
quale genere che punta al successo dei numeri, nelle società sazie o comunque regolate da imperativi poco categorici e per lo più opportunistici. E’ tanto marcata la intollerabilità delle condotte descritte nel melodramma che giustamente molti si pongono la domanda se una rappresentazione così cruda dei vizi della società imperiale austriaca del Settecento o di quella francese dell’Ottocento, per non parlare della Italietta di fine Ottocento non siano stati caricaturati per suscitare l’indignazione (o almeno la riflessione) sui comportamenti dei protagonisti. O se, come nelle “Nozze di Figaro”, l’abbinata Mozart e Da Ponte non voglia sottolineare l’urgenza di una rivoluzione intellettuale prima che arrivi la rivoluzione francese con i suoi effetti (erano quelli gli anni, era quella la marcata distanza delle classi).
L’esempio è calzante per il malcapitato Leoporello, servo astuto di Don Giovanni, del quale la protervia (che non ha bisogno di soccorso della astuzia) arriva a farlo travestire per mettersi al riparo delle molte vendette che si aspetta (nella foto la scena del servitore vestito con il cappello e la giacca del malefico padrone; a destra Masetto; a sinistra don Ottavio e Zerlina).
Ma l’opera di Mozart e Da Ponte mostra ancora una Zerlina che si offre al “bel Masetto” perchè la picchi, la picchi ancora e le strazi i capelli e le cavi il cuore pur di placarsi dal sospetto e si muova a “fare pace”.
Efficace è la rappresentazione dei giovani del “C.O.S.I”, canadese: per loro un premio per stare nel Paese “dove vive Dio”; per i Sulmonesi un premio per essere occasionalmente nati in questo Paese, circostanza che non può elevarli di rango.