ESERCIZI DI RETORICA SULLA “TRANSIBERIANA D’ITALIA”

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LA LINEA TURISTICA TRIPLICA I PASSEGGERI DEL SERVIZIO QUOTIDIANO, MA NON SVOLGE IL SUO RUOLO SOCIALE

17 SETTEMBRE 2017 – La fontana, nella stazione di Roccaraso, mostra tutta l’età della ferrovia Sulmona-Carpinone; lo scambio un po’ di meno, anzi è affascinante nelle sue pesantezze e nella consistenza massiccia che rassicura. Il tempo che, come sostiene Shakespeare riprendendo da Ovidio “strappa i denti alla belva feroce”, ha dipinto con una patina di ruggine tutto il tragitto di quella che fu una linea tecnicamente all’avanguardia (la più alta con tracciato interamente italiano), anche ieri rievocata con languore nei molti interventi dell’ennesimo convegno per rilanciarne il ruolo. Ottima iniziativa, certamente, quella della Fondazione delle Ferrovie (una volta) dello Stato. Ma se la scelta strategica è stata quella di puntare solo sulle direttrici dell’Alta Velocità, è fiato sprecato sostenere che questa “Transiberiana d’Italia” (pure il beffardo nome altisonante fa la sua parte nel tracciare il solco tra il reale e il pretenzioso) deve essere recuperata o rilanciata alla sua funzione di collegamento per l’economia e la società. E’ un richiamo storico: alla carrozza reale che, con i suoi incantevoli interni, sostava nella stazione di Roccaraso mentre il principe Umberto sciava, tra i primi a lanciare la moda degli sports invernali; alle transumanze fatte sui vagoni; alle partenze per il fronte sulle montagne alpine dei montanari alpini abruzzesi e al loro ritorno vittoriosi; alle partenze sulle pianure russe dei figli dei primi e al loro non-ritorno; alla scolarizzazione di massa e al pendolarismo con Sulmona. E’ tutto questo, purchè non si dimentichi che il tempo ha sfigurato anche il viso leonino che adesso con quelle occhiaie sembra più spaventato delle pecore che partivano per la transumanza.

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