FU UN RAMO SECCO O ESSICCATO?

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IL DIFFICILE PARTO DI UN TITOLO PER UN CONVEGNO ROTARIANO E LE FETTUCCINE ALLA NICOLA

8 novembre 2016 – Le fettuccine alla Nicola, che il Ristorante Italia dispensava generosamente ai rotariani ogni martedì sera (sia che si trattasse di una conviviale, sia che si riunissero in una quindicina per un “caminetto”) erano il carburante per le decisioni più impegnative; per esempio, per decidere il titolo di un convegno.

Il tempo ha sepolto lo slogan di un simposio di alto livello sulla diffusione delle sostanze stupefacenti, organizzato nel 1985 al teatro comunale che ancora non si chiamava Maria Caniglia. Era, comunque, un avvenimento, perché vi partecipò un sacerdote impegnato in prima fila nell’assistenza ai giovani; e tenne una relazione zeppa di dati e strategie nel contrasto al traffico di tali sostanze un ufficiale della Guardia di Finanza impegnato in prima linea all’aeroporto di Fiumicino, Renato Vanni. Un successo enorme, ampio concorso di professionalità rotariane di tutto il distretto, ciascuna per la propria specifica competenza, forse qualcosa di molto vicino a quello che avrebbe voluto Paul Harris, il giovane avvocato di Chicago che nel 1905 fondò il primo club Rotary.

Non andò altrettanto bene, qualche mese dopo, quando si trattava di dare un titolo al convegno che il Rotary di Sulmona e quello di Isernia avrebbero tenuto a metà strada, a Roccaraso, nell’aula consiliare, per un tentativo di conservare la linea ferroviaria Sulmona-Carpinone. Le fettuccine, condite ancora dalla mani di don Nicola e saporitissime, non agevolavano; neanche quelle di un rotariano per antonomasia, Aldo Di Benedetto. Questi partecipava solo per dare un contributo e non per ambizione a ricoprire incarichi di rappresentanza (rifuggiva sempre l’ipotesi di diventare presidente) e offriva per solito, senza neanche toccarle, le sue fettuccine a Enzo Accardo, “per il gusto – diceva – di vedere con quale appetito mangiava anche le mie dopo aver amabilmente conversato mangiando le sue”. Più rotariani di così si muore.

Non si riusciva ad imbroccare uno slogan, un incipit che destasse curiosità e raccogliesse il significato dell’impegnativo dossier che i due Rotary club avevano raccolto per esporlo alla stampa. Mancavano 25 anni al 2011 e alla soppressione della linea ferroviaria poi pomposamente chiamata “Transiberiana d’Italia” con sprezzo del ridicolo perché se Carpinone non è Vladivostok, la distanza tra Sulmona e Carpinone non è quella da Mosca a Vladivostok. Ma tant’è: quando i pappagalli si passano parola è sicuro che le definizioni più idiote finiscono sui giornali.

Si dovette passare al secondo piatto e il titolo del convegno sulla ferrovia non veniva: una debacle. Il tipografo aspettava per stampare la locandina e i manifesti. Si provò a prendere l’argomento da varie sfaccettature: “I perché di una linea ferroviaria importante”, ma era scialbo; “Rivitalizzare l’Abruzzo interno attraverso la ferrovia”, ma era plumbeo come un discorso di Enrico Berlinguer; “Motivi di ferro per salvare la Sulmona-Carpinone”, già era più perspicuo, ma non lanciava nessun messaggio forte.

Niente, i lavori dovettero essere aggiornati, anche perché era finita la conviviale e un rotariano di antica data e di lunga carriera aveva completato pure il consueto rito di tastare quasi tutta la frutta e di scegliersi la mela più matura, come faceva da decenni senza che nessuno avesse la fermezza di dirgli che così non si fa. Fu alla conviviale successiva che, pur senza le fettuccine con il ragù bianco, l’ispirazione illuminò il comitato ristretto che voleva denunciare la dolosa riduzione di convogli e manutenzione sulla ferrovia: “Sulmona-Carpinone: ramo secco o essiccato?” fu il titolo definitivo, che conteneva in sé anche l’indignazione per questa politica di svuotamento di orari e carrozze. Approvazione totale anche di Aldo Di Benedetto e, quindi, il relativo “si stampi” per il tipografo.

Nella foto di Angelo Figorilli (1972) un tratto della ferrovia Sulmona-Carpinone nei pressi del Tratturo di Sulmona.

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