LA FILIPPICA DI SPINOSA PINGUE E LA STRANA “RESILIENZA”
27 OTTOBRE 2016 – E’ peggio truffare mandando qualcuno a “timbrare il cartellino” o truffare facendo risultare lavori non fatti, o costi non sostenuti? o è peggio farsi pagare mazzette per dare lavori a uno o all’altro? C’è un bell’imbarazzo della scelta in questi giorni a Sulmona e dintorni in quelli che si ergono a condannare. Le scosse di terremoto di ieri e di oggi, di colpo, fanno propendere per il giustizialismo contro i corrotti e i corruttori della ricostruzione; tra l’altro, sembra che qualche indagine sonnecchiante stava in piedi da almeno tre o quattro anni, ma le cronache dei giornali si sono ben tenute a distanza dal fare nomi e particolari. Al resto ha pensato il tempo, che è sempre galantuomo, e pare che nel silenzio generale i reati si siano anche prescritti o non avranno vita di arrivare neppure al dibattimento in primo grado. La “samba” di ieri sera nelle case ha fatto dimenticare le immagini, irritanti e un po’ patetiche, di chi “timbra” e se ne va a fare altro, lasciando gli utenti dei servizi comunali ad aspettare giorni e mesi anche per le pratiche più banali.
E così, pensando al terremoto e alle corruttele della ricostruzione, ma avendo ancora presente la filippica lanciata dal Fabio Spinosa Pingue contro i furbetti del cartellino, abbiamo aspettato invano che stamane prendesse posizione contro gli imprenditori che hanno partecipato al taglio della torta dei finanziamenti del dopo terremoto del 2009. Bastava che, con un copia e incolla, riprendesse le frasi usate ieri l’altro: il “file” doveva ancora essere nel desktop. Poteva riprendere la durezza che lo ha portato ad auspicare che il sindaco “saprà nel frattempo adottare provvedimenti esemplari – compreso la sospensione – nei confronti dei dipendenti comunali coinvolti. Ciò anche al fine di evitare il rischio concreto che tali comportamenti, perpetrati da pochi privilegiati e viziati, possano minimamente compromettere l’immagine di grande abnegazione e dedizione al lavoro delle forze produttive – lavoratori e imprese – e dei diligenti dipendenti della Pubblica Amministrazione di questa comunità”. Bene, bravo, chi può dissentire? Tutti avremmo sottoscritto. “L’agognata inchiesta, che si è abbattuta sulla comunità peligna come un vero e proprio tsunami, su un comprensorio già duramente colpito da una persistente crisi economica che sembra non avere mai fine, – conclude Spinosa Pingue, – deve costituire l’occasione per riprogettare in modo etico e resiliente l’assetto dell’apparato pubblico, attraverso il coinvolgimento di tutti gli amministratori e di tutti gli schieramenti politici, comprese le associazioni di categoria e le forze sindacali, al fine di condividere un progetto organico che possa finalmente portare la macchina amministrativa ad essere di autentico supporto alle iniziative imprenditoriali”. Questo sarebbe stato un passaggio buono per tutte le inchieste e per tutte le stagioni; addirittura lo Spinosa, ma a questo punto anche il Pingue, avrebbe potuto mandare alle agenzie le stesse parole con un semplice “clic”, mentre durava ancora la prima scossa. E comunque, se proprio voleva prendersela con calma, avrebbe potuto fare in tempo prima della seconda scossa, anche per le edizioni di oggi dei giornali a stampa e per tutti i giornali on-line anche della notte. Chi avrebbe dissentito dal ribadire la necessità di un nuovo progetto organico per rivedere “in modo etico e resiliente” anche il settore degli appalti, nel quale ci sembra che agiscano imprenditori e non, per esempio, coltivatori diretti o calzolai. Mentre si levava il grido di dolore tra le Marche e l’Umbria, il presidente mancato di Confindustria abruzzese, zitto e mosca, resiliente anche lui, si trasformava in poliglotta e, appunto, continuava a tacere in sette lingue, avendo sfoderato tutto l’orgoglio di condannatore nei confronti dei pur biasimevoli (ma un tantino diversi in quanto a pericolosità sociale) comportamenti dei furbetti del cartellino.
Per gli imprenditori che devastano il mercato portando tangenti o facendo figurare lavori non fatti o categorie di appalti neppure immaginate si intende che vale la regola che fino al giudizio di cassazione sono tutti presunti non colpevoli. Per i dipendenti del Comune l’esecrazione è immediata. Spinosa Pingue ha taciuto in sette lingue anche quando i giornali hanno fatto emergere loschi episodi nei quali l’imprenditore (sempre stando all’accusa) faceva firmare fogli in bianco ai dipendenti, riservandosi di scriverci (dopo) le dimissioni. Ma quando si tratta di dipendenti pubblici la questione diventa incandescente e non ci sono parole. Poi, chissà perché, qualche scossa dopo il tramonto riaccende le luci sugli imbrogli della ricostruzione e sugli imprenditori in manette. Sfortunato nella tempistica il Pingue. Ed anche lo Spinosa. Vedono il cartellino nelle mani degli altri e non la trave (storta) sui tetti della ricostruzione.