LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE DEL PM SULLE POLEMICHE PER IL COGESA – PER IL DIRETTORE DEL VASCHIONE E’ LA SECONDA QUERELA IN 46 ANNI E RIPORTA ALLA GIOVINEZZA E ALLA CONSAPEVOLE FIDUCIA CHE SCRIVERE LA VERITA’ NON E’ MAI REATO
9 NOVEMBRE 2021 – In attesa di leggere il corposo fascicolo che raggruppa sei diverse querele sporte dall’avv. Vincenzo Margiotta quale amministratore unico del “Cogesa”, avevamo dato la notizia nuda e cruda della richiesta di archiviazione depositata dal Procuratore della Repubblica, dott. Giuseppe Bellelli, per tutte e sei le querele. Dopo aver chiesto ed ottenuto copia degli atti, abbiamo adesso il testo del documento del capo della Procura, che è anche uno degli ultimi atti prima che egli vada a ricoprire il ruolo di Procuratore Capo presso la Procura della Repubblica di Pescara.
La stessa pubblica accusa dà il reale giudizio sulle iniziative di Vincenzo Margiotta, quando le qualifica con coloriture che vanno dal “totalmente infondata” addirittura al “pretestuosa”. E in dieci pagine a interlinea 1 spiega punto per punto i motivi per i quali il giudice per le indagini preliminari deve archiviare, tanto le posizioni degli autori dei comunicati che quelle dei direttori di testate giornalistiche (compresa “Il Vaschione”) che hanno esercitato il diritto di cronaca di scrivere e commentare le vicende di una società per azioni partecipata da enti pubblici ed esercente il servizio di raccolta e trattamento dei rifiuti. Margiotta non ne esce certamente bene. Ad essere schietti, per un capo risultante dalla riunione delle querele, il Procuratore della Repubblica osserva come “Il comunicato stampa PD Sulmona del 2.10.2020 riportato nell’articolo, riconduce a fatti attribuibili anche al Margiotta ma nella frase riportata in querela, che la P.O. (persona offesa; n.d.r.) indica come diffamatoria nella seconda querela della serie (l’unica citata in querela), non si rileva in nessun punto un riferimento specifico al nominativo del querelante né alla struttura dallo stesso diretta, anzi, essendo egli l’A.U. (amministratore unico; n.d.r.) di Cogesa SpA, curiosamente, nel lungo virgolettato viene omesso l’unico passaggio in cui egli viene citato/coinvolto direttamente. Infatti dalla frase in querela sono state solamente e volutamente omesse le seguenti parole: “…, per finire con le giravolte sulla composizione dell’organo di vertice della Cogesa SpA; …” che nell’articolo e nel comunicato si collocano nel seguente punto: “…E’ da più di un anno che lanciamo l’allarme sull’asse preoccupante che si è stabilito tra una parte che non può definirsi politica ma solo di gestione bieca del potere e coloro che si sono prestati ad amministrare la cosa pubblica in alcuni Comuni ed in alcuni Enti con modalità assai dubbie assecondando richieste clientelari. Dai concorsi agli appalti, dalle nomine alle assunzioni, per finire con le giravolte sulla composizione dell’organo di vertice della Cogesa SpA; il tutto spesso in assenza di trasparenza o in condizioni di dubbia opportunità non solo sotto il profilo politico…”.
Siamo quindi andati a leggere la querela del 6 ottobre 2020 ed in effetti la frase della quale il Procuratore ha rilevato la “curiosa” omissione non c’è. E visto che c’eravamo, abbiamo letto tutta la querela (che è contro il direttore del “Germe” e contro l’estensore del comunicato stampa) e nei primi righi si legge di un “sedicente Circolo del PD”. Sedicente? Ma se è quello che ha mandato a casa Andrea Gerosolimo e, quindi, tutti gli annessi e connessi presìdi in enti a destra e a manca (speriamo che l’opera in tal senso continui anche nei confronti di quanti in queste ore si propongono a sostituirsi senza neppure giurare che cambieranno i metodi…); se è l’unico circolo/partito che ha una sede con tanto di bandiere sventolanti lungo il Corso, come fa Margiotta a dargli del “sedicente”? Forse voleva scrivere “seducente”, in prospettiva di una alternativa dopo la disfatta del capo mastro Gerosolimo.
Ma l’approfondimento della articolata richiesta di archiviazione (che vorremmo fosse imitato nelle sentenze che vengono emesse in tema di reati di opinione) porta il Procuratore della Repubblica a dire esplicitamente, riguardo ad un altro capo della complessiva contestazione, che “nessun travisamento dei fatti si rinviene, tutt’al più una interpretazione suggestiva ma pienamente legittima”. Ed è a proposito della frase: “…chiediamo che si faccia chiarezza sulla gestione di questi anni chiedendo conto all’amministratore unico delle sue responsabilità”. Riprendendo i termini di una produzione di giurisprudenza ormai consolidata nel tempo e nelle aule della Corte Suprema, il dott. Bellelli osserva che “Le notizie ed i giudizi critici relativi alla gestione della società in questione, sono certamente di interesse pubblico, e deve pertanto ritenersi pienamente legittima la critica espressa anche in termini aspri, come il chiaro riferimento a pratiche clientelari nella gestione di concorsi pubblici. Il fatto poi che il Margiotta era indagato in più procedimenti relativi alla gestione del COGESA spa, non solo risponde al vero, (proc 776/19, con perquisizione eseguita il 6.6.2020, proc. N. 1180/18 con richiesta di rinvio a giudizio del 25.9.2020) ed era noto all’indagato stesso, ma è chiaramente notizia di interesse pubblico e connota la stessa critica, pienamente legittima ai sensi dell’art. 51 cod. pen.”. E adesso viene il bello: “Peraltro, deve notarsi infine che era stato lo stesso Cogesa spa ad adottare una delibera, la n. 230 del 17.10.2020, avente ad oggetto: “Incompatibilità assunzioni presso COGESA” emanata dallo stesso a.u. Margiotta, in cui si evidenziava che a seguito di notizie apparse sulla stampa relative alla presenza nelle graduatorie pubblicate da Cogesa SpA di aspiranti dipendenti in potenziale conflitto di interesse con la Società e/o in potenziale posizione di incompatibilità o inconferibilità, e si deliberava di sospendere l’utilizzo delle graduatorie e l’ulteriore corso delle selezioni fino a nuovo provvedimento”.
E così di capo in capo dell’imputazione.
Per esempio per la querela al Germe per l’articolo : “Il business dei rifiuti Covid: mezzo milione buttato in discarica”, che era “una sorta di intervista all’Arch. Guerra Nicola, subentrato dal 2.11.2020 al Margiotta A.U., con la carica di Presidente del CdA di Cogesa SpA”. L’intervistatore ed articolista avanzava critiche tanto nei confronti di Margiotta che di Guerra. E qui Vincenzo Margiotta subisce un altro colpo da palla di bowling che schianta tutti i birilli, perché la sua querela è definita dall’organo della pubblica accusa “quantomai strumentale”; il che costruisce un’autostrada per il processo penale per calunnia. Ma un’autostrada non di quelle che il capomastro Andrea Gerosolimo voleva costruire quando era assessore regionale di D’Alfonso, per tagliare la Valle Peligna dalla A25 e fare la variante da Bussi a Collarmele: un’autostrada comoda comoda, senza viadotti e gallerie: “Egli – scrive il dott. Bellelli riferito all’intervistatore-commentatore– ha pertanto esercitato in pieno il diritto di cronaca e di critica, tanto che la terza querela del Margiotta della serie appare quantomai strumentale, in opposizione al legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica. Diversamente opinando, si dovrebbe ritenere vietata nel nostro ordinamento ogni critica alla gestione economica di un ente pubblico, e punibile per diffamazione ogni forma di giornalismo di inchiesta, fondato su fatti veri e non travisati, sol perché il querelante si limita genericamente a contestare come non veritieri ed offensivi”.
Che botta, ragazzi: chissà se si riprende, lo strumentista.
Verso la fine appare pure “Il Vaschione”, per un comunicato stampa del Pd. Ma anche qui, con riferimenti alle procedure in corso all’epoca davanti al giudice di Sulmona e alle indagini disposte dal PM, il Procuratore conclude che: “La doppia querela del Margiotta per la diffusione del comunicato stampa Pd del 18 marzo, è totalmente infondata, non sussistendo profili di illegittimità nella critica politica sul fatto accertato, ancorchè espresso in termini coloriti e sarcastici”.
Poi c’è la richiesta di archiviazione anche per il reato di rivelazione di segreto d’ufficio, commesso da coloro (rimasti ignoti) che avrebbero rivelato l’esistenza di un procedimento penale. E “anche sotto questo profilo la denuncia è infondata e pretestuosa poiché il riferimento nel comunicato stampa Pd Sulmona ad indagini sui concorsi Cogesa, da parte della Procura di Sulmona ancorchè impreciso, non può che essere al già detto procedimento 438/19, archiviato dal Gip il 20.1.2021, che riguardava l’annuncio del concorso nel verbale del controllo analogo”.
La querela per un reato di stampa ci riporta ai verdi anni, quando nel novembre 1975 fummo bersaglio di una strampalata iniziativa che Franco Pingue, padre dell’attuale esponente di Italia semiViva, assunse per ordine del suo padrone Domenico Susi, quello che un paio di anni prima, quando era assessore regionale, aveva perso in un ristorante aquilano assegni per 107 milioni (negli anni Settanta erano una cifra). Doveva essere un giudizio “per direttissima” e durò quasi quattro anni. Se fosse durato due mesi di più ci avrebbe impedito di diventare ufficiale di complemento della Guardia di Finanza; ma la fretta socialista di incassare l’indennizzo di 800.000 lire che il direttore de “Il Tempo”, Gianni Letta, decise di elargire, pur di ottenere la remissione di querela, giocò il suo ruolo. E tutto finì nelle tasche dell’avvocato di Franco Pingue; soldi tutt’altro che meritati, perché l’emulo di Cicerone si presentò tardi alla prima udienza e non riuscì a costituirsi parte civile. Qualche anno più tardi, davanti alla stessa seconda sezione penale del tribunale di Roma, eravamo presenti in quanto ufficiale delle Fiamme Gialle che aveva realizzato una operazione di contrasto al traffico di droga con il sequestro di due chili e mezzo di eroina purissima (e un encomio solenne del comandante della 18^ Legione) e, per inciso, sapemmo che quel collegio era definito “plotone di esecuzione”, tanto era severo. Eppure, con l’inconsapevolezza dei venti anni (ma con la consapevolezza che dare ai socialisti dei maneggioni non costituiva reato e “Mani Pulite” ha dimostrato che neanche dar dei ladri a molti di loro è reato) avevamo risposto picche alla telefonata che di persona Domenico Susi aveva fatto in redazione prospettando la remissione di querela. Si sentiva a mille miglia che era un modo di riscuotere soldi.
Ogni volta che dovevamo uscire dal territorio dello Stato con il passaporto dovevamo andare a chiedere il nulla osta al PM di Roma, in quanto la pena “edittale” (quella prevista dal codice) superava nel massimo i cinque anni di reclusione; peggio che il nulla osta per il servizio militare, che almeno un anno durava. Per giunta eravamo abbandonati al nostro destino perché il prudente genitore non tollerava che ci si esponesse ai rigori della legge penale con le proprie mani e si era rifiutato di difenderci. Ci difendeva l’avvocato del Tempo, che ci regalò il brivido del rischio quando ci chiese se eravamo gli imputati della diffamazione a dei tombaroli. Erano tante le cause contro “Il Tempo” e di quella diffamazione era imputato Giampiero Perrotti, corrispondente del Tempo di Chieti. Ma intanto capimmo l’aria.
Ora, con questo passato di vari decenni fa, avere dalla nostra un Procuratore della Repubblica che sculaccia il querelante ci dà conforto. Ci sono stati Procuratori della Repubblica che hanno rinunciato a rimanere in magistratura pur di non sostenere una accusa ingiusta. Per esempio il procuratore di Monza, che, pur di non accusare Indro Montanelli, si dimise dalla magistratura. Si licet parva componere magnis (per “Fabbricacultura”: se si possono paragonare le piccole alle grandi cose), con dieci pagine di argomentazioni l’accusatore serenamente smonta l’accusa. Non abbiamo più venti anni, ma la speranza di scrivere senza dover chiedere permesso a nessuno e, anzi, rischiando di urtare la suscettibilità di qualcuno, è ancora, quella sì, verde. E tonificante.