IL FONDAMENTALE SAGGIO DI UN DOCENTE TEDESCO: “SAPEVA LEGGERE IL MONDO CON GLI OCCHI DI CALLISTO”
17 NOVEMBRE 2015 – Ovidio stava dalla parte delle donne: non per i galanti consigli che stendeva a piene mani nei divertimenti di opere come “Amores” e “Ars amatoria”, quanto per la profonda introspezione psicologica della quale ha dato prova nelle “Heroides” e nelle “Metamorfosi”. Il dramma della ninfa Callisto è forse il primo esempio di come un poeta si collochi dalla parte di chi subisce violenza, oppure è costretta a coprire la violenza subìta, cioè a tenere una condotta che porta inevitabilmente a coprire anche il reo. Le ninfe di Ovidio sono persone sole, lasciate di fronte al loro lutto, che è la perdita del mondo nel quale vivevano gioiosamente. La trasformazione porta via il loro sembiante dignitoso e talvolta affascinante, insieme al loro stesso equilibrio psicologico.
Nel suo recentissimo “La bambina e il sognatore”, Dacia Maraini torna sull’effetto paradossale che avvolge le donne violentate: quello di sentirsi loro stesse colpevoli, sporche. Duemila anni fa Ovidio scriveva questo per primo, a dimostrazione che la sua capacità di proiettarsi, la sua sensibilità erano senza confini.
Un professore di filologia classica all’Università Humboldt di Berlino, Ulrich Schmitzer, è autore di un’analisi dei contenuti della poetica ovidiana che, per quanto giunga dopo secoli di studi sul Sulmonese, si può definire rivoluzionaria. Ovidio, ad avviso di Schmitzer, si distingueva dallo spirito dell’eta augustea: “offre un capolavoro di approfondimento psicologico descrivendo come Callisto si senta lei stessa colpevole per ciò che le è stato fatto, e come lei, perciò, si isoli dalle sue compagne e dalla dea Diana e non osi confidarsi con alcuno”. Qui il docente tedesco, il cui “Ovidio”, pag. 1 – 262, è stato tradotto e pubblicato in Italia nel 2005 per i tipi di “Clueb”, riprende Doblhofer e prosegue : “Sembra che nell’antichità nessuno abbia mai osservato così precisamente e descritto con l’esattezza di Ovidio le conseguenza psicologiche, che poi influenzano anche il comportamento sociale, di uno stupro sulla vittima”. E cita testualmente Richlin, che “cerca un accostamento della violenza carnale rappresentata da Ovidio all’ottica femminista”, sul terreno già scandagliato da Holzberg. E “Ovidio non nasconde, né maschera proprio niente, anzi menziona l’atto brutale di Giove come una vera violenza. La tragedia di Callisto, come la descrive Ovidio nelle Metamorfosi, per giunta è aggravata dal comportamento delle divinità femminili coinvolte. Infatti Diana, che quale sua protettrice secondo la tradizione antica sarebbe obbligata a soccorrerla, dapprima si mostra assolutamente ingenua e inconsapevole”.
E’ ancora uno sguardo pietoso e partecipativo quello che Ovidio riserva ai suoi protagonisti, alle vittime di una condizione che è imposta dalla tradizione e da leggi non condivisibili, quale quella della ratifica del fatto compiuto, della trasformazione inflitta senza colpa del trasformato. C’è un cammino di civiltà sublime in questa consapevolezza, che viene dalla capacità di stare e di sentire dalla parte della vittima: giammai si può dire che Ovidio si limiti al compiacimento del saper ben narrare. Egli vuol portare dentro il cuore del lettore la condizione dell’animo di chi subisce le “mutate forme” e vuole anche denunciare (ma in accezione non moderna) la risposta degli altri, il riscontro sociale, verso il delitto odioso compiuto dal più alto degli dei. E’ ancora poco per parlare di “moralità moderna”: Schmitzer sostiene che sarebbe “wishful thinking”, un pio desiderio, che si possa evocare questo concetto. Ma è un passo gigantesco che Ovidio lancia oltre il comune sentire dell’epoca sua, oltre il Medioevo, per avvicinarsi al modo di pensare dell’epoca del suo bimillenario.