COLLOQUIO CON IL PROF. AUCIELLO SU AGLI E BIMILLENARI
30 settembre 2015 – Abbiamo sottoposto al prof. Nicola Auciello, Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno e da poco in congedo, alcune riflessioni sulla considerazione che il poeta sulmonese Publio Ovidio Nasone ha nella sua città e sulle prospettive della sua città di vivere in simbiosi con il suo poeta, o quanto meno, di organizzargli una degna celebrazione del bimillenario della morte. Ne è uscito il colloquio che riportiamo. Il prof. Auciello ha studiato al Liceo Ovidio ed ha scritto vari testi strettamente legati alla materia che ha insegnato; alcuni anni fa ha pubblicato “Questo e quello”, che in uno stile più discorsivo del tecnicismo accademico affronta i temi essenziali della vita, della memoria, della conoscenza, dei rapporti con l’”altro”. (Le parole “Tristissima noctis imago” sono riprese dai “Tristia” di Ovidio che così descrisse l’ultima notte della sua vita a Roma; i versi che contengono questa “immagine” furono recitati a memoria da Goethe prima di lasciare Roma al termine del suo “Viaggio in Italia”)
- Il “Consorzio di produttori di aglio di Sulmona” ha usato, per un manifesto del convegno tenuto il 9 luglio all’Abbazia celestiniana, una foto nella quale è ripresa la statua di Publio Ovidio Nasone in Piazza XX Settembre, alla quale è stata aggiunta una corona di agli. Qual è la Sua opinione su questa iniziativa ?
L’episodio è sicuramente irritante, ma per niente sorprendente. Da parecchio tempo infatti furoreggia indomito dovunque, persino tra quanti ne sono vittime, un principio che vorrebbe regolare tutti i comportamenti umani: valorizzare, rendere utile, qualsiasi cosa sia a portata di mano, le mozzarelle come un ritratto di Tiziano. Valorizzare in un unico senso, quello di renderlo merce vendibile, in nome di una crescita misurabile in denari contanti da ripartire in un regime di competizione senza freni. E farlo senza scrupoli, costringendo tutto a sottostare all’unica misura del mercato, alla sua capacità di confezionare per i consumatori polpettoni di ogni genere. Business as usual, come ben sappiamo. In alto come in basso si pensa così (Nella immagine in chiusura dell’articolo: dipinto di Lemoyne (1735) La verità svelata dal tempo” in “LE METAMORFOSI Illustrate nella pittura barocca”, Le lettere, 2003).
Le merci e l’eredità delle radici
Chi fa caso più al fatto che, accanto alle merci – prosegue il nostro interlocutore – ci sono cose che appartengono alla vita comune, eredità da custodire, simboli, fedi, radici, insomma quei beni che richiedono tutt’altro tipo di valorizzazione, estranei come sono alla logica dello scambio mercantile? Detto questo, vorrei notare che, nell’episodio in questione, il povero Ovidio è stato sicuramente declassato al ruolo di una figurina provinciale, ad una starlette di fiera paesana. Ma che l’aglio, alla fine, non ci ha guadagnato granché. Anzi. L’aglio rosso di Sulmona è certamente una cosa egregia, ma deve – come ogni merce – aprirsi le vie del mondo grazie alle sua qualità e a tecniche intelligenti di comunicazione delle sue virtù, non indossando abiti che non gli si addicono e che gli fanno fare soltanto una ridicola figura. Si dirà: ma è pubblicità, marketing. Appunto, vedi dove porta una tecnica quando diventa una fede, un vangelo ormai privo di ogni senso del limite.
- A Suo avviso una iniziativa del genere dovrebbe superare il vaglio di una autorità politica locale (sindaco, assessore alla cultura, etc.) oppure del Ministero dei Beni culturali, essendo la statua del poeta latino da ricomprendere nel patrimonio artistico e culturale della intera comunità nazionale?
Non escludo che almeno una parolina a difesa del buon gusto sarebbe stata opportuna da parte di qualche autorità locale o nazionale. Ma anche qui: come potremmo dolerci in buona fede del loro silenzio? Non credo che si tratti di complicità bassa, di favori occulti o cose del genere. No. La faccenda è più grave. Ed è il fatto che, da qualche decennio, le autorità politiche di ogni ordine si sono poste con slancio al seguito di quel pensiero unico, il mercatismo senza limiti. L’arcinoto “territorio” della chiacchiera pubblica non è visto altrimenti che come una riserva di merci reali e potenziali; tutto ciò che nel passato ha conseguito gloria o anche solo notorietà, che in un modo o nell’altro ha oltrepassato confini locali, epoche e mille e mille esistenze umane, cos’altro è diventato se non un ennesimo attrezzo promozionale o una medaglietta patinata destinata a foraggiare bilanci pubblici e privati? Il vaglio che tu invochi nella tua indignazione, caro Vincenzo, l’hanno già dato le nostre autorità, altro che, e senza neanche spenderci un minuto di attenzione, tanto naturale gli veniva. E’ stato, com’è d’uso, un silenzio-assenso. (Nella prima immagine in basso: Corneliuz van Haarlem “Ercole e Acheloo”, olio su tela, 1590, Berlino, Gemaldegalerie; dal libro IX delle Metamorfosi di Ovidio, vv. 1-46)
- Quale dovrebbe essere il segno distintivo della manifestazioni che si organizzeranno per il Bimillenario della morte di Ovidio?
Non ho molte informazioni circa queste manifestazioni. Chi ne ha più di me si dice pessimista a riguardo. Ma, anche ammesso che siano in corso dei preparativi seri, è strano che siano circondati da un clima di semiclandestinità che non promette molto di buono e che comunque non giova alla riuscita dell’impresa. Per prima cosa, quindi, sarebbe opportuno che l’Amministrazione comunale rendesse di pubblico dominio il progetto che ha in mente per il Bimillenario ovidiano, o quanto meno il modo in cui ha deciso di procedere per la preparazione di un piano all’altezza del compito. Spero che il progetto preveda la più ampia presenza possibile del meglio della cultura nazionale ed internazionale (e non di soli latinisti). Tuttavia, ospitare per qualche giorno un reparto numeroso di accademici, benché sia cosa onorevole, non mi sembra molto significativo e trovo anzi che sarebbe assai poco corrispondente al compito che la città si trova assegnato.
I natali di Ovidio non sono una rendita
Scommetto che i due versi di Ovidio più noti ai sulmonesi siano: “Sulmo mihi patria est” e “Pelignae dicar gloria gentis ego”. Ebbene, basta combinarli in un certo modo per dar vita alla favoletta tanto seducente, pronta a far germogliare in ognuno il seme dell’orgoglio: quella che racconta di una gloria trasferita ai posteri gratis, solo e soltanto per supposta continuità del luogo di nascita. Ora, che Sulmona abbia dato i natali ad Ovidio, non vuol dire proprio nulla, non nobilita niente e nessuno, né agli né persone. Cioè, per dirla in soldoni, non è una rendita. Un compito, questo sì, un onere, un dovere: quello di cercare di essere degni di quella gloria, di meritarla, di associare il poeta alle nostre genti assai di più di quanto egli fece nel corso della sua vita e, forse, anche in modi diversi da quelli che egli immaginò. Dobbiamo crescere noi, insomma, elevarci, coltivare l’amore per le arti e per i saperi, fare sempre più nostro il gusto delle conoscenze. In questo senso, vorrei raccomandare di coinvolgere la città sia nella fase di preparazione del Bimillenario, sia nello svolgimento delle manifestazioni nel corso del 2017. Studenti, insegnanti, le tante associazioni di cultura che cercano di fare il loro meglio nelle ombre e nelle penombre della provincia.
Le idee per il Bimillenario
Tenendo anche conto del fatto che Sulmona può vantare già da tempo l’esistenza di una tradizione come quella del certamen ovidianum, la quale proprio in quella occasione potrebbe ricevere la valorizzazione che le spetta. Immagino che un incontro tra alta cultura e le energie più disponibili ed operose della città sarebbe certamente un segno distintivo per questo Bimillenario, il quale altrimenti si ridurrebbe ad un convegno di studi col suo solito seguito di atti pubblicati. E così, invece di un unico evento, sarebbe preferibile dare vita ad un ciclo di manifestazioni articolate, grandi e piccole e variamente localizzate, da preparare con grande cura fin da ora e con grande spirito di apertura. Voglio dire: cercando non solo di promuovere una migliore confidenza con l’opera di Ovidio, com’è ovvio, ma anche di sollecitare un molteplice interesse verso l’opera dei poeti e dei romanzieri in generale, lo studio dei miti e dei rapporti tra cultura e potere, etc. Ma a questo segno distintivo, ne vorrei aggiungere un secondo, al solo scopo di porre l’impresa al riparo da pericoli fin troppo prevedibili. Si badi ad evitare col più grande impegno ogni uso diretto o indiretto delle manifestazioni per scopi promozionali, altrimenti tutta la città – e non solo un rispettabile consorzio di produttori – dovrebbe patire la vergogna di passare per chi non sa fare altro che appendere agli, cipolle, confetti e fiaschette di vino al collo di un poeta. Solo una città che infranga, o almeno sospenda in questa occasione, l’incantesimo del mercatismo può aspirare, anche se aspirare soltanto, ad essere degna della gloria che Ovidio volle pronosticare. A dire il vero, non sono sicuro che in giro ci sia forza sufficiente per osare un simile atto di autonomia culturale e civile. Il mio timore è che, con l’aria che tira, allo sfortunato poeta venga inflitta la condanna di un secondo esilio, più penoso del primo: quello di isolarlo nel suo stesso luogo natale, tra le nostre cinte murarie, ridotto al rango di figuretta da réclame come una star di Hollywood ormai sulla via del tramonto che si rende disponibile per impieghi di quart’ordine. Fare in modo che questo scivolone ci sia risparmiato: ecco, questo sì che sarebbe un bel segno distintivo per il Bimillenario. A riguardo, però devo confessare tutto il mio pessimismo. L’illusione che Ovidio e tutto quanto ruota intorno al suo nome sia una comoda rendita da sfruttare è troppo forte e ben accasata dalle nostre parti. Ma, come si dice, non costa niente proferire qualche parola di avvertimento.

