PER RISPARMIARE QUALCHE SCIOCCHEZZA – RIFLESSIONI SUL CASELLO DELLA A25

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Caro amico che vivi a Pratola,

per quella metà di sangue pratolano che mi scorre nelle vene penso di poter parlare serenamente della questione del casello autostradale nella Valle Peligna, adesso che si stanno rialzando i vessilli dei campanili e prima che si sollevi di nuovo il polverone degli anni Settanta.

Per la fierezza e l’astuzia, i pratolani all’estero hanno ottenuto risultati che i sulmonesi si sono soltanto sognati (parliamo della media, non dei casi limite). Sono rimasto attonito quando ho dovuto constatare che la battaglia per non costruire il casello a Pratola Peligna Superiore è stata strumentalizzata da chi, a Raiano, aveva terre e collegamenti che avrebbero reso il casello di Capocroce come la vera uscita di Raiano e non di Pratola. La nostra cittadina non aveva speranze di sviluppo da quella uscita che finiva in una lingua di terra strozzata dalla ferrovia per Pescara e dal fiume Sagittario, in un’area dove c’è stato spazio solo per un distributore di benzina e due supermercati. Se andiamo a vedere cosa hanno costruito i raianesi e i corfiniesi nei loro pianori adattati a discreti nuclei industriali mi sento di arrossire al pensiero che i pratolani, fieri e astuti, si lasciarono condurre in quella battaglia che regalava tutto a Raiano e a Corfinio. Per giunta, quella scelta di Capocroce fu la conseguenza di un gesto di ribellione, come quello che all’inizio degli anni Settanta intrapresero alcuni proprietari di trattori, recatisi a sbarrare la strada alle ruspe della SARA a Pratola Superiore. Per un pratolano (sia pure mezzosangue) allestire una ribellione è un punto di onore e lo farei ancora oggi se convinto, ma essere strumentalizzato e, soprattutto, fare la figura del prepotente (che è diversa da quella dell’astuto) mi creò una certa crisi di identità. Rischiare di persona e passare per bifolco per poi non avere nulla in cambio e, anzi, rappresentare solo la piattaforma di sbarco per lo fortuna altrui non è esattamente quello che tramanda la leggenda dei pratolani in Venezuela (tanto per rimanere all’esempio di quelli che fecero fortuna all’estero).

Non ti parlo, poi, dell’imbarazzo nel prendere atto che la giustificazione per negare l’uscita a Pratola Peligna superiore si è dimostrata solo una bugia, che gli amministratori del tempo sventolarono per animare i conducenti dei trattori. Dissero che il viadotto dall’uscita a Santa Brigida avrebbe impedito lo sviluppo della cittadina, che puntava tutta a sud. Ma non dissero che già lì passava una ferrovia e non si sarebbe potuto certo costruire un quartiere residenziale o un capannone artigianale sulla ferrovia (basta chiedere a Pescara cosa ha passato su questo tema); tanto è vero che le costruzioni fino ad oggi (e sono passati quaranta anni) non si sono neppure avvicinate alla linea che avrebbe percorso il viadotto. Ora, si sa  che mentire non vuol dire essere fiero, nè astuto, perché prima o poi la menzogna viene a galla, con tutto quello che segue. Per questo non credo che un vero pratolano possa riconoscersi nel tipo dell’imbroglione e, semmai, è più noto per essere propenso ad affrontare a brutto muso un avversario dicendogli quello che pensa, senza mai ricorrere a giri di parole e bugie.

Ma, seppure volessi pensare che su tutto quello che è successo dovrebbe calare l’oblìo perché è passato tanto tempo e “cosa fatta capo ha” (massima che mi sembra il contrario della decenza intellettuale), davvero non comprendo perché il tuo sindaco e qualcun altro non ritengano percorribile l’ipotesi di un nuovo casello, cioè la costruzione di una uscita a Pratola Peligna superiore, con il viadotto fino a Santa Brigida e il raccordo alla superstrada a quattro corsie che la comunità europea ha realizzato già. Sulmona si sta battendo per una uscita in territorio di Bugnara: se riesce nel suo intento, il casello di Pratola prima o poi sarà chiuso perché il traffico scenderà a livelli incompatibili con la conservazione di una struttura che pure costa. La soluzione di Pratola Superiore, unica uscita in Valle Peligna, sarebbe tutta compresa in territorio pratolano (raccordo e casello), con quello che significa per l’indotto. Si tratta di chiudere il casello di Capocroce. E qual è il problema, se questa ipotesi è accettata e pagata da chi ha interesse ad un traffico fluido e non inceppato in strade di attraversamento urbano quali sono diventate ormai la ex statale 5 dir e la statale 17?

Hai in mente quello che l’ANAS si accinge a fare per smussare le forti pendenze da Santa Brigida a Roccacasale? Se vai sul Piano di Navelli te ne fai un’idea: sventramenti, strade complanari, un abominio sotto il profilo ambientale. E il territorio di Pratola tagliato a metà; altro che viadotto, che almeno una sua penetrabilità ce l’ha ed anche, se vogliamo, una sua eleganza architettonica. Del resto, immagini che si possa tornare sui trattori anche a Capo La Costa per impedire che gli standars della viabilità primaria siano applicati sulla Statale 17? E’ una battaglia che un imprenditore di Pratola che abbia fatto fortuna all’estero avrebbe apprezzato? Ma dove è finita l’apertura mentale di quelli che hanno fatto della vite una miniera d’oro, con gli investimenti e la capacità di rischiare, coltivando la prospettiva più che l’attualità, il futuro più che il presente? Adesso tutto deve essere conservato com’è? Potrei capire addirittura un dispetto ai sulmonesi, ma la testardaggine di fare il gioco dei vicini mi sembra davvero qualcosa che nella mezza parte di sangue pratolano che ho non sia mai fluita.

V.C.

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