QUINTO NON UCCIDERLO

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IL TRIBUNALE DI SULMONA, CHE LEGNINI, PELINO E SCELLI AVREBBERO VOLUTO SOPPRIMERE, E’ IN VETTA ALLE STATISTICHE SULLA EFFICIENZA

23 MARZO 2017 – Il direttore del servizio statistiche del ministero della Giustizia, Fabio Bartolomeo, ha approntato una classifica della efficienza dei tribunali italiani (140): Sulmona si trova al quinto posto ed è prima tra tutti i tribunali del centro-Italia. Lo studio, rivolto al settore civile,  prende lo spunto dal carico dell’arretrato e, quindi, considera come elemento di forte positività l’abbattimento delle cause pendenti; valuta anche la durata delle singole cause e, quindi, della media delle pendenze. Al di sotto della “linea gotica” in Italia dopo Sulmona si trova Chieti, al decimo posto; L’Aquila è collocata addirittura al quarantesimo posto; Avezzano all’86°. Ma non va granchè meglio per Lanciano (83°).

In uno Stato che puntasse all’efficienza, una statistica del genere dovrebbe imporre un ripensamento alle soppressioni fondate sul mero dato formalistico e rigido della collocazione dei tribunali nei capoluoghi di provincia. E’ vero che non si può riordinare la geografia giudiziaria solo sulla produttività degli uffici, che molte volte può conseguire dalle persone che in un dato contesto storico operano e fanno la efficienza dei rispettivi tribunali; ma è vero che non si possono sopprimere uffici che danno finalmente una risposta efficiente alla domanda di giustizia solo perché hanno sede in città che non sono capoluogo di provincia.

La riforma voluta nel 2011 dal governo Berlusconi, e appoggiata fermamente dal Pd, ha denotato tutti i difetti dei disboscamenti irrazionali e ottusi. In Abruzzo sono stati sacrificati quattro tribunali su otto (una percentuale non riscontrabile in altre regioni) e, tra l’altro, sono stati conservati due tribunali che distano poco più di dieci chilometri l’uno dall’altro, mentre tutta la metà meridionale della regioine rimane priva di tribunali.

E questa scelta è stata operata mentre si discuteva il disegno di legge per la soppressione delle province, cioè si andava ad ancorare la nuova geografia giudiziaria a punti di aggregazione ormai superati, almeno sotto il profilo della ripartizione dei servizi. Tempo per rimediare a queste scelte paradossali c’è ancora, fino al 2020; ma, al contrario di quello che afferma il vice-presidente del CSM, l’iniziativa deve partire dall’alto e non dai parlamentari abruzzesi, che sono paralizzati dalla solita paura di scontentare i rispettivi collegi elettorali o, peggio ancora, le singole municipalità. L’iniziativa, per avere i crismi di una scelta fatta nell’interesse dei fruitori del servizio, deve essere fatta da chi ha l’autorità di affermare che le statistiche dànno un’impronta che va assecondata e confermata, al di là degli interessi localistici.

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