UN PO’ DI ANIMA E DI INTELLIGENZA NELLE LEGGI FISCALI

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SPINOSA (CONFINDUSTRIA)  DENUNCIA LA DRAMMATICA REALTA’ DELL’IMPRENDITORIA

11 MAGGIO 2012 – Il Presidente di Confindustria per la provincia dell’Aquila, Fabio Spinosa, da Sulmona si dice seriamente preoccupato per la condizione dell’economia. Troppi indici rivelano che la “crescita” sarà rinviata di molto; e troppi riscontri confermano che molte imprese stanno agonizzando, mentre le famiglie non dispongono di redditi sufficienti a guardare al futuro.

“Ci troviamo di fronte – afferma Spinosa – a situazioni di eguale gravità di cui sono artefici le Pubbliche Amministrazioni, dal piccolo Comune alla miriade di enti regionali, passando per Province, Asl ecc…, i cui dipendenti sono pagati con i nostri soldi: impiegare lustri per approvare leggi in Consiglio Regionale, annunciare riforme mai applicate, impiegare tempi di pagamento biblici, omettere l’adozione di provvedimenti antiburocratici a costo zero (viviamo in tempi in cui la lunghezza dell’iter autorizzativo è più lungo della vita media delle imprese!!!) è inaccettabile e dobbiamo dire una cosa sola, “Et de hoc satis”, adesso è abbastanza. Tutto questo ha tolto competitività al sistema delle imprese, anzi, centinaia di nostri colleghi, soprattutto piccoli e medi imprenditori, sono sull’orlo di una crisi irreversibile perché i mancati pagamenti della P.A. hanno innescato un autentico corto circuito: l’imprenditore, pur creditore, non può pagare gli stipendi, quindi i contributi, con conseguente diniego automatico del DURC, a sua volta indispensabile per esigere la liquidazione dalla P.A.. Se aggiungiamo a tutto quanto sopra la redazione di autentiche “liste di proscrizione”, redatte dalle banche  per  un numero sempre crescente di Enti pubblici, che impedisce agli operatori economici di portare allo sconto le fatture, la miscela diventa esplosiva. Come gruppo dirigente di Confindustria, in questo contesto, non riusciamo più a  rassicurare  gli imprenditori: un numero ormai indefinito è pronto ad azioni eclatanti, allo scontro. Lo ripetiamo da almeno 2 anni: la pazienza ora è davvero finita”.

Le tragedie che diventano normali

Il quadro tracciato dal presidente degli industriali della provincia è allarmante. A livello nazionale, poi, le serie di notizie sui gesti estremi di vari imprenditori non riesce neppure a scuotere le coscienze sull’effetto più sconvolgente della morsa che stringe chi non ha soldi e non vuol perdere la dignità. Un dato amaro in questo panorama viene dal cinismo di chi ancora ieri ha affermato che queste morti forse prima c’erano lo stesso, ma non se ne aveva notizia. E’ un modo scalcinato di rassicurare le persone; è un modo delittuoso di girare lo sguardo da un’altra parte.

La verità che non si vuol riconoscere è che fino a dieci anni fa il rapporto tra Stato e contribuenti era fondato su un equivoco di fondo: le tasse non si pagavano e lo Stato di tanto in tanto emanava un condono per fare cassa, accontentandosi di quello che riusciva a raschiare e astenendosi dal suo dovere di chiedere a tutti il giusto. Così lo Stato ha perso di credibilità ed ha consentito ai contribuenti di vivacchiare tra un perdono e l’altro.

Condoni off-limits

Ora i condoni non si possono concedere più, perchè ne va di mezzo il rapporto con l’Europa: cioè sono i partners ad impedircelo,  non già la decenza. E invece di arrivare lo sconto, arrivano le cartelle di pagamento, con le sanzioni che però sono rapportate, come prima, alla esigenza di fare la “faccia feroce” per convincere i contribuenti a trovare una via di mezzo. C’è una differenza: che adesso una via di mezzo non si può neppure proporre. Si può continuare a girare lo sguardo da un’altra parte? E gli esattori troveranno ancora qualcosa da agguantare, oppure il prelievo fiscale, già prossimo al 50% del reddito (senza considerare, quindi i contributi previdenziali), lascerà solo macerie?

Un concordato ragionevole

In queste ore drammatiche una risposta si può trovare: viene dal concordato che consentirebbe la “emersione” dei redditi non dichiarati. Stava per essere varato nel 2006, ma la consultazione elettorale lo fece saltare. Si tratta di un progressivo aumento del reddito dichiarato (nell’ordine del 20% ogni anno) in cambio della rinuncia, da parte del Fisco, all’accertamento e alle sanzioni. In sostanza, se il dato di partenza per il volume di redditi dichiarati in un anno è di 100, nell’anno successivo il contribuente deve dichiarare almeno 120, poi nell’anno successivo 144, poi nel terzo anno 172,80. E’ vero che, se il contribuente produce un reddito effettivo di 200, riesce ad escludere una parte di imposizione e resta al riparo delle sanzioni, ma è altrettanto vero che lo Stato può contare su un flusso consistente di entrate tributarie, senza dover pagare un apparato mastodontico per i controlli (limitandosi ad effettuarne per coloro che fossero recalcitranti a questa progressiva emersione). Tra l’altro, si tratterebbe di introdurre un principio basilare che regge i sistemi tributari di tutti i Paesi più industrializzati: cioè la chiarezza dei rapporti.

E per gli arretrati una legge equa

Certamente un difetto del concordato starebbe nel fatto che è proiettato al futuro e non risolve le pendenze; ma al riguardo una legge più equilibrata per la riscossione dell’arretrato potrebbe evitare che i (pochi) controllati debbano pagare per tutti. Il gettito ottenuto dal concordato consentirebbe di evitare i salassi che portano a cartelle di pagamento stratosferiche. La giustizia del caso esemplare non è mai vera giustizia.

Di sicuro i bilanci dello Stato non si ripianano soltanto rendendo effettive le imposte, ma anche riducendo le spese (sul punto: “Fisco medievale quello che ha bisogno di blitz”, in questa sezione del sito). Adesso, tuttavia, occorre intervenire presto su un fronte che si sta popolando sempre di più dei fantasmi di chi non ce la fa.

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