L’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO AL TRIBUNALE DI SULMONA NEL 1898
10 OTTOBRE 2015 – Era un tipo piuttosto “scaldato” (come lo avrebbe definito Giampaolo Pansa nella sua saga dei momenti più turbolenti dell’Italia) il sostituto procuratore del Re nel suo discorso introduttivo all’anno giudiziario 1898. Venti avvocati in tutto il circondario, poco più esteso il numero di procuratori: quelli che in America si chiamano sollicitors, uomini di fatica dei barristers, questi ultimi uomini beati perché difendevano solo davanti alle magistrature superiori e soprattutto perchè la legge vietava loro di avere contatti con i clienti, al contrario di oggi che gli avvocati vanno ad arpionare i clienti in ospedale dopo gli incidenti stradali e talvolta arpionano anche i clienti avversari per dire che il loro collega sta sbagliando tutto.
Il “Signor Penta Ottavio” (e meno male che allora non si usavano i termini ridicoli di “Eccellenza” e “Ill.mo”, sciatta abbreviazione per evocare somme dignità nello spazio più breve) nel suo discorso, che ci è pervenuto a stampa perché a quel tempo si usava ricorrere alla tipografia per questi discorsi e spesso anche per le difese conclusionali degli avvocati nei processi più importanti, si dispiaceva che all’inaugurazione di un anno giudiziario (addirittura chiamato “anno giuridico”, come se il tempo materiale dal I gennaio al 31 dicembre fosse ricolmo di concetti e istituti dell’ordinamento) non gli fosse consentito di fare una prolusione, trattare di un tema a scelta come in una lezione accademica, “anziché obbligarlo ad enumerare gli affari civili e penali del suo distretto, con poche osservazioni sul movimento dei medesimi”, cartina di tornasole di profonda frustrazione.
I furbi rimedi per ridurre la litigiosità
Orbene, per quello che può interessare un osservatore della società di fine Ottocento, il magistrato informava che “Dinanzi ai Conciliatori del Circondario durante il decorso anno 1897 furono portate 9362 controversie”. Invano cerchiamo un riscontro per convincerci che si tratti di un errore di stampa, a fronte delle duemilacinquecento controversie che sono state iscritte non solo davanti ai Giudici di Pace di Sulmona e Castel di Sangro, ma dell’intero tribunale nel 2014; per arrivare al numero di cause dei conciliatori del centroAbruzzo 120 anni fa occorre oggi mettere insieme le cause attuali dei tribunali di Pescara e L’Aquila. E’ vero che al conciliatore si andava per tutto e che il “signor Penta Ottavio” cita il caso del conciliatore di Cassino al cui incarico era stato proposto il becchino (per sottolineare con cinico compiacimento quanta fosse la professionalità di tale figura), ma la gestione di un numero così alto di controversie spiegherà perché per oltre 100 anni si sia scatenata la corsa a fare l’avvocato, in una società che litiga per tutto. E il “mite” Penta Ottavio già allora parlava di “caterva dei legulei ed azzeccacarbugli che infestano le aule delle Preture. Costoro privi di ogni sentimento onesto, sforniti di intelligenza e di ogni cultura giuridica, trascinano le parti a perpetuare le liti, trovando solo nella causa loro affidata la soddisfazione della propria avidità”; lui avrebbe voluto infestare le aule di giustizia della sua ultima monografia per sciorinare quella cultura giuridica che evidentemente l’Università gli respingeva, nei tempi nei quali nelle famiglie di avvocati si diceva ai figli: “Studia, sennò ti tocca fare il pubblico ministero”. Ma tant’è, 120 anni sono passati anche per ridimensionare questo tipo di toghe, delle quali peraltro qui e là anche in Abruzzo occhieggia qualche esempio anche ai giorni nostri e non solo nei ranghi della magistratura inquirente. “Moltiplichino perciò i Sig. Pretori i loro sforzi per porre un argine all’invasione di queste cavallette nei templi della giustizia”. Non gli diceva niente che dei 36 appelli proposti contro le sentenze dei pretori solo 14 fossero stati respinti e che quindi i “legulei e azzeccagarbugli” avevano sbagliato solo nel 30% dei casi, mentre per il 70% avevano sbagliato i pretori?
L’intollerabile diffusione dei licei
Ma questo fascicolo stampato dalla tipografia “Angeletti” è denso di particolari che lo avrebbero reso di estremo interesse per Sigmund Freud che in quegli anni lavorava sodo nel suo studio di Vienna. Parla di “certi germani Lepore di Raiano” (i germani sono fratelli nati dallo stesso padre e dalla stessa madre; i consanguinei sono fratelli nato dallo stesso padre; uterini sono i fratelli nata dalla stessa madre) che avevano citato davanti al conciliatore di Raiano un Fabbrizii, loro debitore, e occorreva darsi corso alla prova con testimoni. “In questo frattempo si intromette nella causa un azzeccagarbugli tal De Dominicis, ed adesca il debitore a persistere nella fatta eccezione, e poiché due individui invitati a prestarsi come testimoni in quella causa si rifiutarono, egli ne sostituisce altri, i quali spudoratamente dinanzi al magistrato asserirono di essersi trovati presenti quando il Fabbrizii richiedeva ad uno dei Lepore la ricevuta in saldo dello affitto pagato. Il Conciliatore che conosceva i suoi polli e la specchiata onorabilità dei Lepore, sospese di decidere in merito, e denunziava i testi intesi alla giustizia. Dalla istruttoria espletata sorsero gravi elementi di responsabilità a carico del De Dominicis, Fabbrizii e dei due testi, i quali rinviati a giudizio furono dal Tribunale condannati a pena adeguata. Non vi sembra quindi che in queste contrade vi sia il semenzaio dei falsi testimoni, e che colui, il quale creda avvalersene, non sia che imbrogliato nella scelta?”.
Per due testimoni falsi il PM parla di semenzaio, quasi che il circondario produca a getto continuo il mendacio.
E l’analisi scritta, sfuggita a Freud perchè mai arrivata a Vienna, va a fondo: “Ma vi è dippiù, o Signori. In Italia abbiamo troppi ginnasii e troppi licei, e queste scuole frequentate anche dalle classi bisognose non servono ad altro che a creare degli spostati ed aspiranti agli impieghi, senza fede, senza avvenire e quello che è maggior danno senza mestiere”. Persa l’occasione di scrivere un saggio giuridico perché il luogo e le circostanze lo costringevano a sciorinare fredde cifre e statistiche, il sostituto procuratore del Re prendeva spunto dalla inaugurazione di un anno giudiziario nel circondario di Sulmona per proclamare: “Pochi anni fa quando i nemici delle nostre istituzioni sociali, i sobillatori del popolo incosciente cercavano tutto distruggere e nulla riedificare, l’idea di Dio sorse come un incantesimo, come un potente risveglio nell’anima” e alludeva a Francesco Crispi e a Giosuè Carducci, che inneggiavano ad un Dio “che si compendia nella mistica visione del più grande profeta del mondo”.
La colpa delle “masse ignoranti”
Mister Penta Ottavio non ha dubbi : “Nelle masse ignoranti, spento quel soffio caldissimo di fede, di amore e di carità si diffonde l’odio, ed esse pervertite da false dottrine, assetate di vendetta, si scatenano pronte a distruggere, armando la mani di sicarii, seminando ovunque l’odio e la distruzione in nome della rivendicazione sociale. Quale più soave visione di quella di Dio e della sua espressione umana del Nazzareno!” Deve essere stato questo lo spirito, poco aderente al messaggio del Nazareno, a spingere Bava Beccaris, un anno dopo, a uccidere centinaia di uomini e donne a Milano con le cannonate e il Re Umberto a premiarlo come se avesse combattuto contro i nemici dell’Italia. Quando uno Stato fa parlare un suo rappresentante in questo modo in un’aula di giustizia e nell’inaugurazione di un anno giudiziario ha perso già il suo valore etico, la sua funzione di amalgama delle varie componenti della società; forse lo Stato sabaudo tale funzione non aveva mai espletato, soprattutto nella questione meridionale e nella sostanziale ghettizzazione della gente del Sud.
Le donnicciuole e le confessioni degli omicidi
C’è, dietro un autoritarismo di facciata, il disprezzo per la povertà e per l’ansia di elevazione sociale che avrebbe potuto trascinare con sé tutta la realtà nazionale verso l’alto. Se una donna di Bugnara dichiara di aver ricevuto una confessione su un omicidio accaduto otto mesi prima, per Penta ad ascoltarla sono alcune “donnicciuole del posto”; che cosa avranno fatto mai quelle donne di Bugnara, se non aver ascoltato una confessione di confessione? Eppure diventavano, in un’aula di giustizia, “donnicciuole”. Se ad ascoltare una confessione fosse stato un pm, di certo non sarebbe diventato “ominiddu”.
Questo era il livello del pubblico ministero con la separazione di carriere, come lo vorrebbero Berlusconi e i suoi rappresentanti della sedicente destra italiana.
Nella foto in alto una statua davanti al Palazzo di Giustizia di Roma, inaugurato poco prima di questa scaldata inaugurazione dell’anno giudiziario a Sulmona: sembra reggersi il capo al solo sentire l’antigiuridicità delle cose dette in un’aula di tribunale nella patria di Ovidio; riesce a tenere la testa dritta da sola Licinio Crasso (foto del titolo), ma solo perchè era stato anche console ed era più uomo di mondo.