20 FEBBRAIO 2010 – Per quelli che votano in base ad una impostazione ideologica, il problema non si pone: le elezioni sono una scelta tra la sinistra e la destra e si guarda poco al resto. E’ una fortuna che sia così, perché al di là di questa impostazione c’è solo la ricerca del favore personale,
dell’aggiustamento delle cose per sé e per il proprio parentado: insomma gli aspetti più deteriori della democrazia, quelli che emergono quando un candidato vale l’altro sul piano delle idee e si differenzia solo per le capacità di soddisfare l’appetito degli elettori. Negli ultimi anni la cortina di ferro tra uno schieramento e l’altro è diventata di latta e poi di elastico, tanto che il ministro dell’economia di un governo che si proclama di destra dice quello che diceva ai tempi giovanili, quando si schierava dalla parte della sinistra estrema: le tasse non si possono diminuire perché vanno salvate la sanità e le pensioni, senza spiegare (come farebbe un liberale di destra) che la sanità efficiente va salvata e non quella che brucia risorse immani di tutti e che le pensioni giuste vanno salvate e non quelle che furono decretate ed elargite solo per clientela e, quindi, per assecondare gli effetti perversi della democrazia. Intanto, come si vede, entrambi gli schieramenti giungono alla conclusione che per buona parte dell’anno i contribuenti debbono lavorare solo per le casse dello Stato; il vero programma elettorale che li accomuna è molto concreto e sostanziale. Sparito il gusto di dare un voto per un programma, resta da vedere se tutto debba essere filtrato attraverso il tornaconto personale, oppure se almeno un livello possa essere salvato: se, cioè, la scelta non possa aiutare la comunità nella quale si vive. E le elezioni provinciali sembrano collocarsi come una buona verifica a questo proposito. Anche per una analisi sul punto, occorre fare una premessa che getta acqua fredda sugli entusiasmi: le province attualmente non servono a niente e sono di ostacolo alla corretta organizzazione del territorio e, quindi, alla funzionalità dell’apparato statale. Fin quando ci sono, peraltro, il dovere di votare non esclude nessuno, perché la disaffezione alle urne può condurre a risultati impercettibili in questi ambiti e disastrosi a livello istituzionale centrale. Si comincia a non votare per gli enti territoriali inutili e poi si lascia che altri scelgano anche per Palazzo Chigi; dopo tutto, l’esempio americano con le ridicole percentuali di chi va a votare è un brutto traguardo. Un motivo per andare a votare e per scegliere, però, dovrà pur esserci dato. Non per riprendere argomenti troppo usati, ma sembra che Sulmona sia diventata terra di nessuno. Non solo per la provenienza dei candidati alla presidenza della provincia di entrambi i maggiori schieramenti, ma proprio per quello che tali schieramenti hanno fatto negli ultimi anni e negli ultimi mesi in particolare. L’impostazione liberistica ci impedisce di considerare una soluzione per lo sviluppo l’inclusione nel “cratere” dei comuni terremotati. Ma lo stesso approccio ideologico ci porta a ritenere che aver lasciato Sulmona tra un comune del cratere e l’altro (Popoli e Bugnara) significa condannarla al completo sottosviluppo. Se i benefici per quei comuni saranno quelli che si preannunciano (nel senso che non si perderanno per strada i concreti ausilii all’economia, come alcuni paventano) la città vedrà scomparire il “popolo delle partite IVA”, cioè quella che dovrebbe essere la parte reattiva della società, perché è ovvio che spostare la sede a sette o quindici chilometri sarà il primo passo per la completa de-industrializzazione, ma anche per la scomparsa del timido terziario che finora ha resistito. Peraltro, il discorso vale anche per imprese più grandi. E’ di per sé strano che la faglia del terremoto sia arrivata a Popoli, si sia immobilizzata a Pratola e Sulmona (e sappiamo che non è stato così) e si sia riattivata a Bugnara. Questo pasticcio non ci sembra che abbia un solo genitore: e non è un biglietto da visita che consenta a qualunque candidato dei due schieramenti di parlare a fronte alta in una piazza di Sulmona. Poi si potranno dire tante chiacchiere, di quelle che abbiamo sentito nei mesi scorsi, ma creare distorsioni così evidenti in un sistema già lacerato tra i poli economici di attrazione della Marsica e di Pescara è fonte di responsabilità precise. Del resto, proprio nelle ore delle ultime elezioni, quelle europee di giugno, è stato adottato un provvedimento che revocava anche altri benefici fiscali per Sulmona (e lo si è reso noto solo ad urne ormai di nuovo chiuse); ma non è stato l’unico segnale, perché in realtà della sua esclusione dal cratere la città non ha percepito neppure i benefici speculari ai pregiudizi, nel senso che non è stata incentivata alcuna attività che potesse compensare l’oggettivo disastro di trovarsi così vicino alla demarcazione con realtà fiscalmente più favorite. L’elenco delle cose fatte dalla Provincia dell’Aquila per Avezzano (città che ha saggiamente evitato di entrare nel cratere, sin dai primi giorni del dopo-terremoto) non l’abbiamo aggiornato, ma era già noto che per chi non si andava a cacciare nel vicolo cieco di … dichiararsi inagibile a priori ci sarebbero state delle ricadute positive. Facciamo adesso questioni campanilistiche ? Possono essere bollate come si vuole, ma in un contesto nel quale si deve giudicare quello che si è fatto in ambito provinciale è logico che si sfiorano i campanili; qualcuno per noi parlerà di questioni atlantiche (dimostrando più provincialismo dei campanilisti). Adesso non ci interessano, perché se il dito del nostro interlocutore indica la luna non facciamo come l’imbecille che guarda il dito, ma abbiamo anche diritto di vedere cosa fa l’altra mano, soprattutto quando si infarciscono di ecumenismo discorsi che portano a creare… crateri così precisi.