CIANCE E CANTONATE DOPO IL SEQUESTRO DEI NAS
20 MARZO 2016 – Suoni di trombe, rullar di tamburi: occorre difendere il confetto di Sulmona. Sottoscriviamo con dieci dita, cioè col massimo trasporto digitale nel web. Occorre erigere muri per impedire che si confonda il buono e il cattivo; sarebbe letale che il circuito virtuoso della produzione genuina si confonda con quello del riciclaggio di mandorle previa separazione dallo zucchero. E chi più di noi punta a questo scopo, visto che abbiamo annunciato l’elenco di coloro che dichiarano, con l’impegno del proprio onore, di non aver ricevuto sequestri e chiusure di fabbrica?
Solo che una prece la formuliamo: che le persone che straparlano di marchio del confetto, di certificato di origine o di filiera del gusto, non siano le stesse che per proteggere l’aglio di Sulmona l’hanno talmente squalificato da metterlo sulla testa di Ovidio e far sentire tutto il peso della differenza con l’alloro e gli altri simboli della gloria letteraria o del primato agonistico. Se hanno questa perspicacia, se ad una gara di purosangue da corsa porterebbero un asino dalle lunghe orecchie e dalla goffa sagoma solo perché hanno stipulato la convenzione per la promozione del latte di asina, forse debbono fare ancora i conti con il vero marketing, cioè con tecniche che sono un po’ più elevate dell’ingordigia bottegaia.
E, tanto per rimanere al confetto, dire che sicuramente viene da Sulmona non significa niente, posto che a Sulmona e non a Ottaviano una certa fabbrica (speriamo di sapere subito quale sia, se i Nas si decidono a non protrarre i danni a carico delle industrie serie) si prodigava a riciclare le mandorle. Dire che è un prodotto che è legato alla natura e alla specificità alimentare peligna è dire una pallonata stratosferica: il confetto nel medioevo nacque per conservare le mandorle delle quali abbondava il Monte Morrone, avvolgendole con lo zucchero. Ora i confetti più pregiati sono fatti con la mandorla d’Avola e ne viene sottolineata proprio questa identità, giustamente. Tracce di coltivazioni di canna da zucchero o di barbabietole non si ravvisano negli annuari di Mario Marcone in tutta la Valle Peligna. Allora che cos’è questo cianciare di elementi naturali tipici della Valle Peligna? Che senso ha ripetere a pappagallo quello che i poveri produttori di pomodori Pachino vanno disperatamente sostenendo per tutelarsi dall’importazione africana?
Occorre dire, invece, che ditte artigianali ultra-centenarie sono diventate efficienti nel mettere insieme prodotti che vengono da altre parti d’Italia e che solo qui si coniugano al meglio. E poi, quando si verificano questi sequestri e queste chiusure, non serve ribadire che bisogna fare il marchio del confetto: bisogna uscire allo scoperto per distinguere le responsabilità, anche se ad essere stati pizzicati dai Nas sono confettifici di grandi dimensioni e, per giunta, blasonati. Se, poi, i sedicenti custodi della tipicità sulmonese non sanno neanche dove si riciclano i confetti e se ne sputtana il nome, di che cosa stiamo parlando: di tutori della filiera della genuinità che non sanno neanche dove portano i fili?