PRETE, PERCIO’ A FIANCO DEI DISOCCUPATI

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INTIMIDAZIONI A DON CORRADO CHE A BUSSI RIEMPIE LA CHIESA

26 GENNAIO 2016 – “State tranquilli, io non ho paura e non mi faccio intimidire”; è lapidario e parla il tanto che basta, come sempre, don Corrado Pasquantonio, parroco di Bussi sul Tirino. Sta a fianco dei tanti che cercano lavoro e che vivono una crisi spaventosa nella cittadina legata al cordone ombelicale della Montecatini, poi della Montedison, poi della Solvey e via via fino all’attuale deserto di industrie e di occupazione. Prete operaio ? Non ha mai digerito queste classificazioni di comodo e comunque non ha mai sventolato posizioni accomodanti con la sinistra, tanto meno quelle che quaranta anni fa traversarono la diocesi di Valva e Sulmona (come si chiamava allora) guidata da mons. Francesco Amadio. Sta dove dovrebbe stare la Chiesa. Vicino al disagio, anche nella indigenza, senza spaventarsi nel vedere in faccia la fame e le malattie (anche quelle portate da una industrializzazione a buon mercato).

Così veniamo ai giorni nostri, allo sfregio fatto alla autovettura della sorella di don Corrado, che gliela aveva prestata; e allo sfregio all’autovettura di un suo collaboratore. Per questo “Il Messaggero” di oggi gli dedica mezza pagina e un titolo a sei colonne. Don Corrado non ha paura neppure della più subdola delle conseguenze quando ci si schiera per soccorrere i poveri senza se e senza ma: per esempio quando bisogna ricordare al presidente della giunta regionale la tragedia della disoccupazione e magari guastare un po’ la festa. Non basta solo chiedere ai politici: bisogna battere i pugni sul tavolo, metaforicamente, s’intende, perché il ruolo non consente violenze. Ma a D’Alfonso non ha mandato a dire che la disoccupazione deve essere evitata, e subito: lo ha detto lui di persona. Così riempie la chiesa di Santa Maria dell’Assunta, sebbene non è neppure questa sorta di “auditel”, questo riscontro di popolarità, che lo gratifica.

Ha sempre parlato con schiettezza, senza fare troppi calcoli sulle strategie e le convenienze. Ed è sempre stato un prete che ha letto e metabolizzato bene quella regola nel dare risposte: “Sì, sì; no, no”, permeata di molta cultura. Leggeva molto da giovane, quando insegnava al liceo classico di Sulmona e fu lapidario anche quando ad un giovincello che infarciva di frasi accaldate e un po’ ottenebrate dalla esigenza di sfoggiare neologismi, rispose con pacatezza: “Tu non conosci la semantica del linguaggio”. Lapidario anche allora. Non cercava neanche nei suoi trent’anni il consenso a buon mercato; ma intanto il giovincello si andò a leggere cosa significasse “semantica”, dopo essere rimasto a bocca aperta e senza soccorso di neologismi. Può darsi che anche grazie a quel deciso appunto diventò giornalista professionista.

“Bisogna essere sempre chiari e assumersi la responsabilità di quello che si dice” ci ha… confessato (scambiando i ruoli) un mese fa, incontrandoci per caso e sempre con una piccolissima vena di nostalgia per quel tempo di studi intensi: i suoi e quelli dei focosi e turbolenti alunni. Bella occasione adesso per lui, che è stato sepolto per decenni a fare l’economo della Curia, misurarsi con la società ed applicare le idee che si è chiarito in tanto tempo di riflessioni e di preghiere. Forse anche per l’imprinting delle poche ore passate al liceo, ha saputo dare la testimonianza che prepara un comportamento etico per la vita: cioè l’esempio nella vita di tutti i giorni, che adesso lo trova pronto senza tanti complimenti e senza tante analisi. Come i preti-operai, ma con una marcia in più: la libertà dalle ideologie.

Nella foto uno degli edifici della “Montedison”, che a Bussi ha caratterizzato l’impegno ecclesiastico nella società

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