“QUELLO CHE SCRIVE OVIDIO L’HO SENTITO NEL CAMPO DI PRIGIONIA”

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IN “VITA MIA” DACIA MARAINI RIPORTA ALLA MEMORIA I RACCONTI DELLA BALIA IN GIAPPONE QUANDO LA MITOLOGIA MITIGAVA LE SOFFERENZE INFERTE DAGLI AGUZZINI

15 OTTOBRE 2023 – “Anni dopo, leggendo Ovidio, ho trovato molte strane analogie”. Gli “anni dopo” separano il periodo della reclusione nel campo di concentramento giapponese da quello nel quale può serenamente leggere e approfondire i classici.

E’ Dacia Maraini (nella foto del titolo e, più in basso, in un incontro a Pescasseroli) che racconta se stessa nel libro della sua vita, uscito un mese fa per i tipi di Rizzoli: “Vita mia”, appunto.

Debole, dolorante per i morsi della fame, Dacia Maraini condivide gli stenti di una prigionia per la scelta dei genitori, Fosco e Topazia Alliata, di distinguersi dall’adesione alla Repubblica di Salò, cioè al governo riconosciuto e alleato del Giappone. Quattro uova per diciannove reclusi, condite con il disprezzo dei carcerieri. L’incertezza nel domani; anzi quasi la sicurezza che andrà a finire male perché della fine della guerra non si ha neanche un abbozzo. Ma la bambina Dacia Maraini stampa nella sua mente le leggende della religione dell’Estremo Oriente: “Essendo bambina, e non avendo vissuto e quindi peccato, non sapevo bene se la grande dea Amaterasu mi avrebbe fatta rivivere come essere umano o come animale, cosa che succedeva a chi non si era comportato secondo le regole“.

Draghi dalla lingua di fuoco oppure la stessa Amaterasu “con i suoi magnifici kimono” sono gli ingredienti che la balia Miki Uriu Morioka propone in sostituzione di minestre e polli allo spiedo o polpa di ricostituente vitello. L’angoscia per il suo destino viene spezzata con “la favolistica giapponese, sempre sospesa fra le visioni e la realtà analizzata con chirurgica consapevolezza”.

Imprime tutto nelle mente la piccola reclusa. E la memoria restituisce quel tutto all’adulta che legge Ovidio per la prima volta, come è capitato a coloro che lo hanno conosciuto non già nelle pedanti lezioni del liceo, ma quando un po’ la vita è passata e le emozioni degli dei dell’Olimpo sono così reali da sembrare uguali agli stati d’animo vissuti dal lettore. Forse starà in questo la fortuna del Sulmonese: proporre déi così vicini agli uomini da incuriosire gli uomini del terzo millennio, dopo aver affascinato gli uomini del Medioevo e del secondo millennio. Narra di miti che l’uomo occidentale ha conosciuto sotto forma di narrazioni della vita del suo dio, o dell’origine del mondo.

Nel libro della sua vita, Dacia Maraini collega l’incanto dei racconti di Miki Uriu a quello che prova leggendo Ovidio: “Come la fiaba del figlio di Azanaji che ha ucciso la madre Azanami: il padre, furioso, scende nel regno dei morti dove è tutto buio per ritrovarla. Nonostante la mancanza di luce, la ritrova, la chiama e le chiede di seguirlo per riportarla alla vita. Lei lo segue ma, quando giungono alla luce, lui si volta e vede non più una donna ma uno scheletro. Allora scappa impaurito, inseguito da una folla di morti. Non ricorda la storia di Orfeo che scende nel mondo dei morti per trovare la sua Euridice e quando l’ha ritrovata cerca di riportarla alla vita? Gli viene raccomandato di non girarsi finchè non sarà uscito alla luce. Ma lui si volta prima e la perde. Nella fiaba greca non c’è lo scheletro e non c’è l’inseguimento della folla di cadaveri, che devo dire suona piuttosto macabra, ma l’idea che l’amore possa superare i limiti della vita appartiene a tutte e due le fiabe. Salvo poi fermarsi ai margini del possibile. L’amore può rompere le oscurità della morte, ma non può ridare respiro a chi l’ha perduto”.

Felice collegamento di tempi lontani e di mondi lontanissimi, tra la classicità e le storie del XX secolo, tra il Mediterraneo e quasi gli antipodi. Felice collegamento tra quello che ascolta una bambina e quello che legge una donna vissuta, per focalizzarsi in quello che scrive chi fa il bilancio della sua vita con stupore mentre coglie analogie tra tante lontananze. E Dacia Maraini si sofferma poi in altre metamorfosi: “dei gatti che si trasformano in umani e degli umani che si trasformano in volpi e alberi”.

Come per Goethe, Ovidio accompagna il lettore nel mondo delle trasformazioni: dettate da cause le più varie, ma tutte dal forte impatto emotivo, assunte a volte come liberazione e speranza di miglioramento, anche quando non ci sono più i fili spinati di un campo di concentramento.

(Nella foto in basso Fosco Maraini).

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