STORIA ROMANZATA MA NON TROPPO DI IULIA DOMNA CHE NUTRIVA LA SUA SAGGEZZA CON LA LETTURA DELLE OPERE DI OVIDIO NELLA GIUNGLA IMPERIALE DEI TEMPI DI SETTIMIO SEVERO – INTREPIDA, COLTA, MA SOLA: DA LEI VIENE LA CONFERMA CHE OVIDIO RIMASE IL FARO SPIRITUALE DELL’ANTICHITA’
20 GENNAIO 2024 – Santiago Posteguillo ha venduto più di 300.000 copie narrando la storia romanzata della seconda moglie di Settimio Severo. Ha tratteggiato l’aura di saggezza e di intelligenza che circondava questa donna che per prima ha avuto il riconoscimento di “Augusta”. Ne ha valorizzato le doti di coraggio, che in realtà non scaturiscono da invenzioni romanzesche. Ha soprasseduto sulla ipotesi che fosse anche lei inserita nel periodo selvaggio di un impero dominatore del mondo conosciuto, ma costellato di omicidi nello stesso palazzo del capo assoluto. Scende in particolari che piacciono tanto alla massa di lettori, come le compiaciute descrizioni dell’uccisione di Commodo, degenere epigono di una grande dinastia, quella degli Antonini, sotto la quale Roma ottenne la massima espansione territoriale e una non più ripetuta giustizia sociale attraverso le riforme di Traiano.
Insomma, ammicca molto verso il genere “popular”, del tutto diverso dal sublime “Io, Claudio”, di Robert Graves, che tuttavia cita in apertura di queste 650 pagine per un ritratto esaltante di donna. Sono pagine scorrevoli e in qualche punto elementari che si potrebbero leggere di un sorso, se si potesse bere di un sorso il contenuto di una damigiana.
Ma il coraggio della donna venuta dalla Siria e dal nome in linea con la mitologia romana, Iulia Domna, è immenso e ispira gli uomini del suo tempo: resta immobile nel Colosseo quando, con la stessa attendibilità storica (cioè nessuna) con la quale Russel Crowe uccide Commodo nel film “Il gladiatore”, il figlio del saggio Marcaurelio (questi sì, da imperatore filosofo arrivò a vietare le esibizioni del circo non solo nell’Anfiteatro Flavio) prende la mira per colpirla con una freccia nella follia dei suoi ultimi giorni. Dalla prima “Augusta” promana una autorevolezza che è data dalla sua intelligenza e dalla sua cultura. E sin dall’inizio del romanzo Posteguillo la ritrae mentre, per affrontare le pene quotidiane, si distoglie dalla lettura delle opere di Publio Ovidio Nasone. Risponde alle sollecitazioni della giungla di sotterfugi della Roma tutt’altro che epica, lontana come spirito dal primo “Augusto”. Non è di poco conto la circostanza che Iulia Domna legga Ovidio, anziché intellettuali… organici come Virgilio e tanti altri accolti benevolmente e valorizzati da Ottaviano. Ai tempi del governatore della Pannonia Settimio Severo (che sarebbe diventato imperatore nel 193, dopo il trimestre di Pertinace, ucciso anche lui e il trimestre di Iuliano Didio, che subì la stessa sorte), Ovidio non era più un esempio da relegare nei confini perduti del Ponto: era uno spirito da seguire ogni volta che si discuteva del potere, dei suoi eccessi, degli eccessi di quel Giove in terra che fu Augusto e di quanti furono, più di lui, imperatori forti, colti, ma senza freni.
E’ una parentesi quella di Iulia che legge Ovidio ed affronta la vita con coraggio. Dopo di Settimio Severo, sale al soglio che fu di Cesare Caracalla che ha ucciso il fratello Geta, entrambi figli di Iulia. Una donna sola nel suo podio non può durare a lungo e, alla notizia che anche Caracalla muore in una spedizione militare, si lascia morire di fame dopo aver tentato di morire tagliandosi le vene. Questo non è il romanzo di Posteguillo: è la verità storica. E le tragedie per antonomasia continuano ancora ad essere definite “greche”.
Chi ha indagato sulle malformazioni del potere degli dei, prima che su quelle dei grandi uomini, il Vate sulmonese, rimane, invece, su un podio che la Storia gli ha assegnato, assecondando quel pronostico con il quale si concludono le Metamorfosi e che finalmente compare di notte nelle luci del Corso della sua Sulmona: “Vivam”, io vivrò.