I QUARANTA ANNI DI RGF E DELLE ALTRE
6 dicembre 2015 – Se uno dovesse chiedere in cosa sia cambiato Cesare Antomarchi dai tempi di “Radio Giorgio Farina”, si dovrebbe rispondere che giusto non ha più capelli; ma nient’altro. Non un etto di grasso in più e non un’oncia di grinta in meno si possono aggiungere o togliere allo speaker e disc-jockey di quaranta anni fa. Tuttavia, è l’eccezione che conferma la regola, perché tutti dal marzo 1976 ad oggi sono cambiati, sia tra coloro che facevano i programmi, sia tra quelli che li ascoltavano: una sorte di “Quaranta anni e li dimostra” capovolgendo il titolo di una commedia con Peppino De Filippo. Fatta questa premessa, si deve anche dire che la serata di oggi per il revival di tutte le radio della Valle Peligna aveva contenuti e toni di una festa di diciottenni con i … capelli brizzolati, neanche troppo ripiegati a parlare di se stessi e dei bei tempi andati. Anzi, alla fine Angelo Merola e Venanzio Porziella hanno azzardato che il problema di rifare una radio non sarebbero neanche tanto i soldi per finanziarla. E tutto sommato si potrebbe rifarla da domani: da qui la domanda che campeggiava sul poster : “Si ricomincia?”.
Previsione difficile, ma chi, se non i protagonisti dei vagiti dell’emittenza privata a Sulmona può lanciare il cuore oltre l’ostacolo? Se non altro per parlarne a figli e…ahimè, nipoti che di onde ultra-corte o a modulazione di frequenza non hanno saputo niente, tanto meno che sono servite da autostrade per la socializzazione e l’integrazione sociale, meglio delle caserme del fu servizio militare, meglio delle scuole, meglio delle trasferte per la squadra del cuore.
Antomarchi alla fine della festa delle emittenti ha anche eseguito una spassosa e macchiettistica canzone da lui stesso composta e musicata, tutta incentrata sulla grande assente della Sulmona dei giorni nostri: Piazza XX Settembre, palcoscenico e platea della città che viveva ancora della gioia di essere concentrata nelle mura medievali per le cose importanti. In fondo, la vera connotazione che faceva di quelle radio private le espressioni meno provinciali del Novecento era proprio la consapevolezza che si potesse parlare di temi cittadini senza alcun complesso di inferiorità rispetto ai temi della cronaca nazionale e senza alcuna aspirazione di scimmiottare pensose analisi di politica internazionale. Le radio, con le loro dediche e i notiziari, le lunghe galoppate nel rock e nelle tradizioni popolari, erano consapevoli di trattare di un universo che incominciava a Pettorano e finiva a Popoli. Ci vuole arte a percorrere da equilibristi un filo sottile, teso da una parte all’altra della Valle Peligna, senza far annoiare nessuno e, per di più, sottraendo audience alla Rai.
Nella foto del titolo: una fase della scena del revival delle radio private.