ANGOSCIOSI RETROSCENA DEL RISORGIMENTO NEL RACCONTO DEGLI UFFICIALI PIEMONTESI
24 OTTOBRE 2016 – Le date dell’unità d’Italia sono anche altre rispetto a quelle che si studiano a scuola.
150 anni fa, il 23 ottobre 1866, infuriò la rivolta di Palermo (che poi fu la rivolta di gran parte della Sicilia): costò la vita a poco più di trecento militari, mandati insieme ad altri 39.700 per sedare la protesta. Il numero delle vittime civili non fu mai reso noto, ma gli storici che si sono avventurati in questa conta difficile (perché priva di fonti ufficiali) parlano di duemila morti. Dopo la sconfitta di Custoza, un nucleo di generali incapaci di strategia (addirittura il Mincio fu attraversato dai carri e dalle salmerie e l’artiglieria riposava ancora sull’Oglio…), invece di tornarsene a casa, si risolve a sterminare Italiani della Sicilia con i metodi tipici della guerra di conquista del Sud, uccidendo anche preti e violentando donne sospettate di essere compagne dei rivoltosi, giungendo ad arrestare l’anziano vescovo di Monreale.
E’ di un ufficiale, Antonio Cattaneo, la lettera che di recente ha consentito di fare luce su uno degli episodi più tristi della repressione della rivolta. Ed è proprio del 23 ottobre 1866: “Vi posso assicurare che qualche vendetta la facemmo anche noi, fucilando quanti capitavano, anzi il giorno 23 condotti fuori porta circa 80 arrestati colle armi alla mano il giorno prima, si posero in un fosso e ci si fece fuoco addosso finchè bastò per ucciderli tutti”. Solo otto di meno di quelli che erano stati fucilati, in un episodio drammaticamente analogo, a Scurcola Marsicana il 21 gennaio 1861. Senza processo, senza condanna, senza distinguere le responsabilità, senza alcun moto di pietas.
Per questo le celebrazioni dei 150 anni della conquista coloniale dei Piemontesi al Sud non dovranno cessare fin quando sarà fatta luce definitivamente su tutto.