I SAVOIA DELLA CONQUISTA DEL SUD RIVOGLIONO PURE I GIOIELLI

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STUCCHEVOLE INIZIATIVA GIUDIZIARIA CHE AGGIUNGE UNA ULTERIORE TESSERA NEL MOSAICO DELLOCCUPAZIONE COLONIALE

20 NOVEMBRE 2022 – Gli Italiani del Sud, quando il loro re, Francesco II, fu costretto ad abbandonare prima Napoli e poi Gaeta dove si era ritirato, ebbero da lui un messaggio che li esortava ad essere felici. Il padre, Ferdinando, disse “La rrobba de li prevt’ ‘n  se tocc’” quando poteva unificare l’Italia sotto il simbolo della corona borbonica per percorrere al contrario il viaggio che poi Vittorio Emanuele compì, passando anche per Sulmona, per arrivare a Taverna Catena (cioè vicino a Teano), dove Garibaldi gli consegnò simbolicamente il Regno delle Due Sicilie. Quel Regno del Sud, nella tradizione di accoglienza e internazionalismo che fu di Federico II e dei suoi due successori, ha sempre fatto della cultura, che porta allo scambio e alla comprensione, il perno della vita sociale. La corona sabauda ha dato all’Italia le leggi razziali, laddove un re belga ha trovato il modo di abdicare pur di non sottoscrivere una legge che non condivideva (che poi l’abbia fatto per un giorno fa parte dell’ipocrisia europea che non a caso si consolidò in un regno di colonialisti).

Ora l’ultima rivendicazione dei Savoia riguarda i gioielli, del valore di trecento milioni di euro, conservati nel caveau della Banca d’Italia, che i figli di Umberto II reclamano formalmente con una causa e con la curiosa affermazione che, seppure fosse impossibile dimostrare la catena successoria, sarebbero comunque stati usucapiti.

A questo ci hanno portato gli anni dell’impossessamento del Regno del Sud, che furono gli anni della conquista coloniale sostenuta da 140.000 soldati (altro che i 1.000 di Garibaldi…), come riportato in Cronologia della Storia d’Italia, UTET, 2008, vol. III, pagg. 1130-1131, le devastazioni giuridiche della Legge Pica (un aquilano, non c’è da stupirsi) per circa un decennio di guerra civile. Certo, una corona appartiene ad un re ed ai suoi successori; ma anche la vita dei soldati che hanno combattuto per quel re apparteneva ai soldati e l’hanno conferita allo Stato. Eppure nessuno dei loro discendenti ha mai potuto rivendicare il contributo che portò alla prosperità dell’Italia e alla ricchezza dei Savoia. Questa ennesima rivendicazione di casa Savoia, in linea con l’acquisizione del tesoro del Banco di Napoli, è l’ultima celebrazione dei 150 anni dell’unità voluta dai piemontesi e sfuggita al giovane re, appena ventitreenne, a capo di un regno protetto “solo dalle sirene”, come canta Eugenio Bennato.

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