IL RITORNO DEL CANTAUTORE NEL CENTRO ABRUZZO E GLI ULTIMI CONTRIBUTI DEI CATTEDRATICI
21 FEBBRAIO 2010 – La necessità di studiare una “questione meridionale” e di evitare che nel futuro esista ancora una “questione meridionale” per l’Italia non è una resa al revanscismo dei “terroni”; né un indulgere ai piagnistei dell’assistenzialismo sempre preteso dal Sud. Alberto Quadrio Curzio, presidente emerito dei Lincei, in una recente intervista, ha affermato che l’Italia potrebbe ambire a diventare ricca come la Germania a condizione che “il policentrismo italiano sia reso più concreto con sistemi di comunicazione che inglobino e connettano di più anche il Mezzogiorno”. E non è una radicale novità, rispetto a quello che almeno dal secondo dopoguerra si va affermando quando si cercano le linee di uno sviluppo armonioso, diverso dal reiterato trasferimento di risorse umane dal Sud al Nord. La realtà è un’altra, se negli ultimi sedici anni hanno lasciato il Sud un milione e 183 mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, come racconta l’ultimo rapporto Svimez. Il 16% si è trasferito all’estero, quasi 800 mila non sono più tornati a casa. E in 170 anni, cioè dall’Unità d’Italia ad oggi, il divario tra il Sud ed il Nord si è assottigliato soltanto durante il boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo; poi è ripreso alla grande e l’ultima crisi ha creato un solco quasi ormai non appianabile. Carlo Trigilia, sociologo dell’Università di Firenze e già Ministro per la coesione territoriale, ha di recente scritto che il divario tra Nord e Sud “è un caso unico a livello europeo per la consistenza del divario e per la sua durata nel tempo”. E Trigilia sottolinea come, con un terzo della popolazione (21 milioni di abitanti), il Sud produce solo un quarto del prodotto interno lordo complessivo e solo un quinto del settore privato. Cifre e considerazioni sono riportate da Mario Portanova nell’ultimo numero di “Millennium”, dedicato in copertina e per oltre la metà degli articoli, alla “questione meridionale” dei giorni nostri, passando ovviamente per quello che, non di cattedratico, scrive Pino Aprile in ordine a statistiche sconcertanti. E sconcertante è il primo dato che balza agli occhi: un capoluogo di provincia del meridione, come Matera, non ha la stazione ferroviaria, mentre si cerca di scavare la Torino-Lione per una direttrice di traffico merci già abbondantemente servita dalla ferrovia esistente e, tra l’altro, in netto decremento i traffico negli ultimi decenni. Desolante è, poi, una risposta che Pino Aprile (l’autore di “Terroni” e di altri volumi in questi 10 anni successivi alle celebrazioni dei 150 anni di Unità) alla domanda su come si spiega il successo della Lega di Matteo Salvini anche al Sud : “Gli schiavi sono tali perché accettano la propria condizione”.
Poi ci sono molti rimproveri da muovere al Sud, se è vero che per avere una carta di identità a Napoli bisogna aspettare otto mesi, mentre a Milano non più di tre, compreso il tempo che intercorre tra il giorno nel quale si chiede l’appuntamento e l’effettivo rilascio (anche se si verificano strani “sorpassi” se l’utente va a Napoli in municipio senza fissare un appuntamento, cosa che è impossibile a Milano). E ci sono i rimproveri riservati alla mentalità acquisita in secoli di fatalismo e accettazione supina della burocrazia dei conquistatori con la continua cantilena per esprimere l’insofferenza per dominazioni sempre provenienti da lontano, come si ascolta in un brano di Eugenio Bennato, che torna in Valle Peligna dopo l’incontro organizzato dal “Vaschione” nel dicembre 2014:
“E po’ vene o re Normanno ca ce fa danno
E po’ vene l’Angiuino ca ce arruvina
E po’ vene l’Aragunese, ih che surpresa
e po’ vene o re Spagnolo ch’è mariuolo
E po’ vene o re Burbone can un va buono
E po’ vene o Piemontese ca ce vo’ bene
Ca pussa essere cecato chi nun ce crede
Ca pussa murire acciso chi nun ce crede”.