GIORNALISMO E LETTERATURA NEL REPORTAGE DI UGO OJETTI

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A VILLETTA BARREA LA PRESENTAZIONE DI “UNA SETTIMANA IN ABRUZZO”

23 AGOSTO 2023 – Sarà presentato domani, giovedì, a Villetta Barrea, alle ore 17,30 nel Palazzo Dorotea, “Una settimana in Abruzzo”, sintesi del viaggio che il giornalista compì all’inizio del XX secolo nella regione che meno interessava il grande giornalismo dell’Italia in progressiva formazione insieme all’identità nazionale, ma che più affascinava i lettori che cercavano continuamente i contrasti delle narrazioni: fra gli ambienti monumentali e gli impeti degli scenari naturali; tra gli agi di una borghesia sempre più compiaciuta del nuovo mondo e la lotta quotidiana per la sopravvivenza di contadini e pastori.

I lettori di Ugo Ojetti, che diresse poi il “Corriere della Sera”, erano anche quelli che si interrogavano sulle titaniche imprese di migliaia di Abruzzesi che non avevano mai visto il mare e lo solcavano per raggiungere misteriose destinazioni pur di scampare alle condizioni di miseria e trovare un modo per affermarsi.

Per inoltrarsi nel mondo fascinoso del giornalismo fatto di carta e di piombo, ma anche di appunti di viaggio che sono autentica letteratura, si confronteranno nel paese immerso nel Parco Nazionale il presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, Stefano Pallotta, e il giornalista del “Corriere della Sera” Giuseppe Guastella, perchè il reportage del grande direttore evoca l’antica questione delle correzioni ed integrazioni delle notizie, in una parola della rettifica: un istituto che non è meno essenziale oggi, in epoca di giornalismo online e che è apparso essenziale a chi questa “Settimana in Abruzzo” l’ha letta con molta attenzione…

Quello che attraeva i lettori del Corriere era il dosaggio di termini e aggettivazioni nel quale Ojetti era maestro. L’aggettivo: questo reietto in qualche scuola di giornalismo, è il protagonista del “viaggio” di Ojetti: “Stamane da Anversa, posta a piombo sul fiume in un promontorio tutto rosso di fornaci da mettone, siamo entrati nella gola del Sagittario per salire a veder la messa a Scanno. Par proprio di entrare nelle fauci d’un gigante di pietra ché tra le due pareti altissime della roccia bianca e nuda, una in ombra e una in sole, corrono appena venti o trenta metri, e quella in cui è tagliata la strada, le si piega sopra come aperta ad azzannare i viandanti. Per un attimo siamo addirittura ingoiati dal buio d’un cunicolo dentro cui l’automobile romba come un terremoto. Il fiume verde serpeggia laggiù intorno alle rocce, cingendole di schiuma bianca, e tanto fondo è l’abisso che fuggendo così non s’ode la voce delle acque. Spelonche inaccessibili s’aprono nelle rupi a perpendicolo, tanto bianche che l’ombra d’una nuovo o d’un falco che vola vi si disegna sopra, nitida come sopra una tenda tesa. D’un tratto la gola s’allarga, il sole ci abbaglia, il fiume si spiana in un laghetto dove la corrente è appena segnata da un brivido sfavillante”.

E’ la descrizione delle Gole del Sagittario, non meno avvincente di quella famosa del viaggiatore inglese Edward Lear che nell’Ottocento sosteneva come il paesaggio intorno al viandante condizionasse il suo spirito al punto da esaltarlo e deprimerlo senza altre concause, al di là della stanchezza fisica o della cultura che permeava le sue conoscenze. Una descrizione che assume maggior significato perchè, meno di un ventennio dopo il transito di Ojetti, il Sagittario non scorreva più e la “schiuma bianca” era scomparsa, inghiottita dai tubi della deviazione che porta ancora oggi le acque dalla diga di Villalago al salto della centrale elettrica per spingere i treni sulla Roma-Pescara. Due descrizioni, quella del Lear e quella di Ojetti, che i reportage hanno fissato per i secoli successivi; per fortuna con tanti aggettivi.

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