UNA SOFFERTA TRANSIZIONE NELLA SULMONA CHE SI PREPARAVA AL PARTITO DEI PENSIONATI
19 NOVEMBRE 2016 – Fu una nevicata un po’ anticipata, nel novembre 1975, a caratterizzare le elezioni amministrative,
alle quali la Democrazia Cristiana si preparava come si affronta una bufera politica. Reduce dallo choc di aver visto conquistare il Campidoglio dal “fronte” PCI-PSI a due passi dal Vaticano, il partito abituato ad andare oltre il 50% con i grandi serbatoi della Coldiretti, delle piccole e grandi Azioni cattoliche, delle Poste, cambiò radicalmente la propria rappresentanza in Comune. L’ordine dall’alto era quello di non candidare nessuno dei consiglieri uscenti: il rinnovamento doveva essere totale.
E fu la chiusura definitiva dei dieci anni di giunta guidata dal sindaco Paolo Di Bartolomeo; ma insieme a lui furono esiliati da Palazzo San Francesco anche giovani consiglieri che peraltro non avrebbero trovato grande accoglienza nell’establishment. In una infuocata assemblea al cinema “Sant’Antonio” nel dicembre dell’anno precedente l’on. Natalino Di Giannantonio aveva gridato a Franco La Civita tutta la rabbia del partito per il patto che lo aveva legato, alla Comunità Montana, al sostegno dei comunisti e aveva letteralmente cacciato i suoi sostenitori dall’assemblea, mentre dalle cigolanti poltroncine in legno della platea Giovanni Ruscitti, gaspariano della prim’ora (che ci ricordava sempre i passaggi del sottosegretario Gaspari a bordo della Flaminia prima che da soli potessimo ricordarci quelli a bordo degli elicotteri) scaricava il suo dissenso su una conduzione ingessata e inespressiva di quello che doveva essere un partito popolare (e fu espulso pure lui).
“In città di bianco è rimasta solo la neve” concludeva un articolo del “Tempo” il martedì dopo della imbiancata metereologica e molto superficiale. E infatti il testimone della politica a Sulmona passò alle sinistre, che lo tennero fino al 1981 con una giunta presieduta da Antonio Trotta e sorretta a più riprese da passaggi sorprendenti dal fronte del centro-sinistra a quello della sinistra. La “Democrazia Popolare”, che doveva raccogliere i dissidenti democristiani che non accettavano l’esilio imposto dall’alto (Franco La Civita, Mario Manfroni, Armando Sinibaldi e Carmine Mastrogiuseppe) non fu riaccolta nello Scudo Crociato e la DC si scelse un quinquennio di opposizione dura e ideologica, incalzante, guidata dal prof. Giuseppe Bolino anche dall’alto del suo assessorato regionale alla sanità e poi dalla sua presidenza del consiglio regionale.
Grandi espressioni di fede politica nella Sulmona di allora? Neanche per sogno: cessarono pure le delibere del Consiglio comunale sulla guerra in Vietnam, osteggiate severamente dal 1970 al 1975 dal missino prof. Italo Fallavollita, che si lamentava di quei testi con il Dc avv. Pasquale Speranza più che altro perché denotavano idiozia da provincialismo intenso. E del resto nel maggio 1975 era cessata pure la sconclusionata e inutilmente nefanda presenza degli americani in Vietnam. Delle ideologie non si parlava da un pezzo, con l’approvazione della variante al Piano Regolatore Generale nella primavera del 1981. Il pragmatismo di Democrazia Popolare (a braccetto con qualcosa di più del pragmatismo dell’on. Domenico Susi) aveva permeato a tal punto gli “scaldati” del fronte social-comunista che se si fosse parlato di Allende in Consiglio comunale qualcuno avrebbe risposto che poteva essere un dittatore venezuelano scalzato dagli americani, spostando il teatro della Moneda di qualche migliaio di chilometri con molti anni di anticipo su Di Maio.
In questo tramonto delle ideologie il lascito della Sinistra fu, nel 1981, un Consiglio comunale nel quale l’ago della bilancia si bloccò su un unico uomo, il gen. Pizzoferrato del Partito dei Pensionati che inaspettatamente ottenne consensi sufficienti a decidere quale coalizione sostenere. E l’apertura della nuova consiliatura ebbe anche toni virati al comico, perché il generale (bravo oratore, fra l’altro) prima che si votasse intraprendeva discorsi appunto… generali, dai quali non si capiva come si sarebbe inclinata la punta dell’ago. E per un buon quarto d’ora, mentre non si sentiva volare una mosca, le interpretazioni si rincorrevano tra sottolineature compiaciute, subito gelate dal “ma anche…” successivo, in una navigazione a vista perché il Partito aveva grande stima della dirittura morale (che in effetti fu adamantina) del rappresentante, al quale continuava a dare solo e soltanto un indirizzo… generale senza guardare alle quisquilie urbanistiche del gruppo TEA (Tecnici emiliani associati; a chi altro avevano potuto dare l’incarico, qualche anno prima, gli ammirati sostenitori del nuovo nelle costruzioni vicino al paradiso bolognese?).
Sulmona fu una delle prime città ad avere in consiglio un rappresentante dei pensionati; adesso, se il consiglio dovesse rappresentare la città scegliendo tra chi accumula e chi riceve l’erogazione di trattamenti di fine rapporto, la maggioranza assoluta andrebbe a quel partito che fu già decisivo, prima di estinguersi nello spazio di un mattino. Il grande freddo, come già nella Siberia del PCUS, gela gli entusiasmi ideologici.