“LASCIATE FUGGIRE I PRIGIONIERI E POI SPARATE ADDOSSO”

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LE PRATICHE CRIMINALI DEI CONQUISTATORI PIEMONTESI AL SUD NELL’ULTIMO LIBRO DI PINO APRILE

16 OTTOBRE 2016 – E’ a scopo preventivo che Pino Aprile ha scritto il suo ultimo libro, “Carnefici”, sulla occupazione piemontese del Sud Italia dal 1860.

La prevenzione, per di più sismica, parte dal presupposto che un padre chiamò i figli e disse : “Ricordatevi, quando una cosa nessuno te la vuole dire, allora la terra si crepa. Si apre. E parla!”. Dunque, prima di far aprire la terra…

Non è che per questo il Sud è continuamente percorso da terremoti, sebbene dal 1860 sono state così flebili le voci che hanno ricostruito questa guerra civile, da non potersi escludere che la terra non ha sopportato di restare muta, ricordando tante tragedie; e si sia scossa Tuttavia, Pino Aprile, reduce dai successi del disvelamento su questa oscura pagina italiana (primo tra tutti : “Terroni”), non ha scritto per motivi scaramantici: ha cercato un contatto con il mondo accademico, che, già per “Il sangue dei vinti” di Pansa, ha mostrato non solo diffidenza, ma proprio irritazione alla semplice idea di rivedere la traccia, ormai condivisa, della storia dell’unificazione d’Italia. Purtroppo, le fonti si fanno più aride man mano che passa il tempo: e i documenti sono diventati, se non rari, molto confusi. Ci vorrebbero stuoli di giovani studiosi, magari di borsisti, per mettere insieme i faldoni dei documenti.

Per esempio, l’atroce carteggio tra il generale Sacchi e il colonnello Milon; quest’ultimo, traditore della divisa borbonica, aveva combattuto, si fa per dire, per Francesco II in Sicilia, sua terra natìa e sproloquiava e si dava dell’offeso ogni volta che lo si definiva borbonico. Bene, cosa riporta di tanto rivoluzionario questo carteggio? Non riporta cose diverse da quelle che accadono quando a condurre le guerre sono macellai invece che guerrieri: come già si è verificato in Vietnam, di recente, come si era verificato in Germania ai tempi di Teutoburgo; e in cento altri casi. In sostanza, il generale diceva al colonnello che, quando fosse stato necessario, avrebbe potuto ricorrere al “massimo rigore”, che era una specie di parola d’ordine per terrorizzare la popolazione: i prigionieri venivano quasi invitati a fuggire prima di essere deportati alle carceri del Nord, di modo che, presa la fuga, venivano colpiti come le lepri in una battuta di caccia: “Però debbo confidarle che qualcuna di queste fughe fu agevolata dalla truppa, per ottenere il risultato, come difatti è stato, di atterrire queste popolazioni” racconta il macellaio Milon al compiaciuto mandante Sacchi, aggiungendo in altra circostanza che “la fucilazione, ovvero la fuga dei briganti arrestati ha prodotto una buona impressione”. E il Sacchi dopo qualche tempo, ribadisce questa comune condotta criminale scrivendo al colonnello: “Ch’io lo lascio libero di ritornare ai mezzi di rigore estremo; che dividerò sempre con Lei la responabilità dei suoi atti ma che altra garanzia noi non pssiamo avere che quella finora avuta: la tolleranza e tacito consentimento!” (poi si dice che la mafia sia stata esportata dal Sud al NOrd…)

Come avrebbe potuto vincere una guerra del genere l’esercito di Francesco II che, oltre ad essere composto agli alti vertici, per buona parte, di ufficiali traditori come Milon, era il primo ad aver introdotto la regola ferrea che i prigionieri feriti andavano soccorsi? E difatti, nella battaglia decisiva del Volturno, molti soldati borbonici, visti i piemontesi in ritirata e in grave difficoltà annaspare nel fiume, andarono a soccorrerli. Per tutta risposta, per esempio, i prefetti, una volta occupato il Sud, si intromettevano anche sulla destinazione dei magistrati e in particolare di un procuratore, su sollecitazione dei soliti militari-macellai che volevano “avere a fare con una persona” con la quale “andare d’accordo”, cioè con uno di quei magistrati che (sia ben chiaro) si trovano sempre e in qualunque epoca, disposti a prostrarsi alle esigenze del potere esecutivo. Il col. Milon propone di trasferire il procuratore che “niuna responsabilità voleva addossarsi sul fatto delle uccisioni” (quelle del tipo del tiro al bersaglio e altre in qualche modo organizzate dai livelli sociali più alti) e che fu a sua volta oggetto di minacce da parte di quelli che Milon definisce “proprietari onestissimi del paese”. Questi “proprietari onestissimi” come in uno scenario molto attuale, fecero giungere al colonnello che o il procuratore consentiva di “uccidere impunemente chi vogliono, senza accusa, processo o condanna, o il morto sarà lui” annota Aprile che aggiunge: “mi sa che comincio a capire perchè sono morti Chinnici, Falcone, Borsellino, Ambrosoli, Dalla Chiesa”. Uno Stato che nasce così, consente di spiegare molte cose della violenza successiva, come la corruzione esercitata per la conquista di molte fortezze borboniche, compresa quella di Pescara ad opera di De Cesaris, consente di spiegare molte cose della corruzione che si è moltiplicata in un secolo e mezzo.

Pino Aprile, che ha riprodotto molto materiale che riguarda l’Abruzzo, servendosi dei mirabili libri di Canosa, magistrato scomparso da poco, in molti passi si ripete, affermando che intende proprio farlo, anche a scapito della scorrevolezza della prosa, peraltro apprezzabile perché giornalistica; evita, purtroppo, l’uso delle note perché vuole al tempo stesso evitare che il libro si presenti come una ricerca vera e propria, ma ottiene di tanto in tanto il risultato di appesantire la lettura con cifre e confronti statistici. Ma il suo scritto va diritto al cuore, perché rende giustizia delle decine di migliaia, forse più di centomila Italiani del Sud massacrati dagli Italiani del Nord, che si servirono anche di banditesche truppe ungheresi, sorprendendo per fellonia le popolazioni “da liberare”. Decine e decine sono i contributi per rifare una storia di guerra civile. Tra questi, le drammatiche parole di un deputato del Parlamento di Torino, che era stato deputato di Napoli: Francesco Marzio Proto Carafa Pallavicino, duca di Maddaloni, nato a Napoli nel 1815 e morto a Napoli nel 1892.

Questo un suo intervento: “Gli uomini di Stato del Piemonte e i partigiani loro hanno corrotto nel Regno di Napoli quanto vi rimaneva di morale. Hanno spoglio il popolo delle sue leggi, del suo pane, del suo onore… e lasciato cadere in discredito la giustizia… Hanno dato l’unità al paese, è vero, ma lo hanno reso servo, misero, cortigiano, vile. Contro questo stato di cose il paese ha reagito. Ma terribile ed inumana è stata la reazione di chi voleva far credere di avervi portato la libertà… Pensavano di poter vincere con il terrorismo l’insurrezione, ma con il terrorismo si crebbe l’insurrezione e la guerra civile spinge ad incrudelire e ad abbandonarsi a saccheggi e ad opere di vendetta. Si promise il perdono ai ribelli, agli sbandati, ai renitenti. Chi si presentò fu fucilato senza processo. I più feroci briganti non furono certo da meno di Pinelli e di Cialdini”

Possibile che non si sia studiato tutto questo nelle scuole in 150 anni di unità d’Italia? Possibile, sì, ma alla fine “quando una cosa nessuno te la vuole dire, allora la terra si crepa. Si apre. E parla”

Pino Aprile, CARNEFICI. Piemme, 2016 pagg. 1-464, euro 19,50.

Nella foto del titolo la fortezza di Gaeta, assediata ed espugnata nel 1860.

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