IL SINDACO VALORIZZA GLI UFFIZI

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MODESTA FURBATA DI DI PIERO PER NON RISPONDERE SUL PALAZZO DI ZAPPA IN PARCO PUBBLICO – MA L’ESCAMOTAGE CORRODE QUELLO CHE DELLA SUA IMMAGINE RIMANEVA DALLA CAMPAGNA ELETTORALE DI TRE ANNI FA

2 GIUGNO 2024 – Era prevedibile che il sindaco riversasse sugli “uffici” la spinosa incongruenza di un palazzo di edilizia residenziale che tale Zappa sta finendo di costruire a confine con la chiesa che ha il più antico stemma cittadino e di un fiume che potrebbe essere una meta turistica per quelli che di Ovidio ricordano anche la nostalgia delle freschissime acque; e, comunque, di un palazzo che si trova in pieno “parco pubblico”.

Ma Di Piero ha fatto di più, durante l’ultimo consiglio comunale: ha detto che un suo interessamento a quella pratica avrebbe costituito reato. Quindi, se scellerati del genere di quelli che costruirono il palazzo del Banco di Napoli in Piazza XX Settembre ne costruissero un altro al posto di quello di Giovanni Veneziano, di fronte, Di Piero, passando, si volterebbe dall’altra parte e in Comune si guarderebbe dall’esigere informazioni. Piccolo impiegato della Asl, ha un concetto molto utilitaristico della legge penale: è quella che non deve portare a farsi troppe domande se queste contrasterebbero con lo status quo, che in questo caso è un palazzo giunto ormai al tetto. Quando gli si propongono temi che lo scomoderebbero un po’ dalla sedia che ha conquistato con una maggioranza e continua ad occupare raffazzonando consiglieri eletti anche da chi lui stesso diceva di contrastare durante la campagna elettorale, Gianfranco Di Piero assume il volto di sufficienza di chi ritiene di non essere scalzato perché i numeri sono dalla sua parte, anche solo di una frazione o perché sa che può attingere dalla stessa minoranza, come è stato per il voto sulla caserma dei pompieri (favorevole il “fratello d’Italia” Vittorio Masci, che ha dato già dimostrazione di essenziale sostegno alla cangiante maggioranza al punto che autorizza a chiedersi perchè non ha fatto il gregario di Di Piero già dalla campagna elettorale, in modo da evitare l’avvilente risultato di non giungere neanche al ballottaggio quando a L’Aquila e ad Avezzano la cosiddetta Destra andava a gonfie vele).

Così l’aria da sfinge, tipica dei macachi che sormontano un elefante e guardano con sufficienza le tigri (ma solo fino a quando gli elefanti non se le scrollano di dosso e a Di Piero è capitato spesso di essere scrollato, altrimenti da assessore a 25 anni non avrebbe chiuso la carriera facendo il sindaco raccatta-voti consiliari a sessanta anni suonati) ha affrontato la sequela di incongruenze  (per non dire altro) che gli sono state segnalate da Comitati civici e minoranza, con quella arroganza tipica dei democristiani che non hanno risposto fino a quando hanno avuto i voti e dal 1992 hanno piagnucolato di non poter rispondere perchè il partito non esisteva più.

Certamente, messa così, Di Piero dirà anche che se la debbono vedere gli uffici se la richiesta di visionatura della pratica “Zappa”, inoltrata dalla consigliera Teresa Nannarone, è stata presa come istanza di accesso della legge 241/90 e ne è stato informato subito il controinteressato, quando delle richieste di consiglieri gli uffici non debbono informare un fico secco; anzi andare a spifferare un segreto d’ufficio costituisce, questo sì, reato. Il macaco sulla testa dell’elefante, il piccolo impiegato che si appoggia al serbatoio dei voti altrui e che stringe alleanza con gli avversari pur di rimanere un po’ più su dell’agone politico e prendere atto del disastro che ha fatto, esprime, nella foto del titolo, lo stesso sguardo che ha sfoderato quando si avvicinava, lungo Via Mazara, il corteo di visitatori che, con a capo addirittura la sindaca di Boston, gli andava a rendere omaggio durante una visita in città. E’ esattamente l’immagine contraria all’entusiasmo, al trasporto emotivo che dovrebbe manifestare il piccolo sindaco davanti al sindaco della più celebrata delle città americane, del punto di partenza del solenne percorso che separò il Nuovo Mondo dall’Inghilterra. La faccia è di chi sta per domandare: “Ma che vogliono questi?”; oppure: “Vabbe’, facciamo questo strazio; prima incominciamo e prima finiamo”. Del resto, come dimenticare che quando era atteso al teatro per la presentazione di una nuova edizione delle “Metamorfosi”, non si è neanche presentato?

E lo “strazio” si è replicato venerdì scorso, quando in Consiglio Gianfranco Di Piero avrebbe potuto esporre la sua opinione su come una baracca, senza “spogliatoi” e senza “porticato”, fosse diventata un palazzo e se non fosse il caso di agire in autotutela per impedire che in quell’angolo di parco, a due passi da un fiume, sorgesse un palazzo in cemento armato di centinaia di metri cubi.

Invece Gianfranco Di Piero si è confermato quello che valorizza gli… uffici; anzi, che li potrà elevare al rango artistico più alto. Tanto, supercazzola per supercazzola, perché non osare il non osabile?

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